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Repubblica-INSEGNARE SENZA MURI

LE IDEE Insegnare senza muri FRANCESCO MERLO SEMBRA di ritrovare mio nonno preside, un siciliano separatista, o uno degli improbabili personaggi di Camilleri, dialettofono e borbonico, ne...

09/09/2005
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la Repubblica

LE IDEE
Insegnare senza muri
FRANCESCO MERLO
SEMBRA di ritrovare mio nonno preside, un siciliano separatista, o uno degli improbabili personaggi di Camilleri, dialettofono e borbonico, nelle forti e persino commoventi dichiarazioni che, a difesa delle tradizioni egiziane e della separatezza scolare dei bimbi musulmani in Italia, Ali Sharif ha rilasciato. Il direttore della scuola islamica, chiusa dal comune di Milano "per inagibilità igienica", ha usato toni appassionati e sinceri e non è certo per filoterrorismo che ha lodato quell'autentico pasticcio milanese che è stato inventato in via Quaranta. Al di là dell'atto repressivo del Comune, la scuola è infatti un imbroglio così ingarbugliato che andrebbe comunque semplificato e chiuso, non certo con il tartufo delle condizioni igieniche o con il maglio ottuso dell'identità antimeticcia. Al contrario, qui bisogna chiudere per aprire. Le scuole non si chiudono, ma si aprono alla modernità.

Quella di via Quaranta andrebbe chiusa come scuola islamica proprio per aprire la scuola italiana agli studenti di via Quaranta. Andrebbe chiusa perché in nessun posto d'Italia esiste una scuola parteno-siculo-borbonica né brianzol-austriacante e neppure papalin-tiberina. L'infuocato Ali Sharif non sa che noi italiani abbiamo fatto una scuola contro i nostri "corani", contro il regionalismo in chiave religiosa e antropologica e contro le vecchie lingue strutturate. Le nostre scuole sono sorte sul tramonto di culture premoderne e localistiche, contro il delitto d'onore, contro la "mafia Robin Hood"..., tutte cose che erano "vere" come sono "vere" le tradizioni egiziane.
Anche la mia Sicilia era, a quel tempo, una specie di Arabia Saudita, al punto che il loro Nobel, lo scrittore Nagib Mafuz, descrive il Cairo proprio come Verga descrisse la Casa del Nespolo. Anche noi avevamo una storia separata rispetto a quella cosa fragile che era la nazione, ed avevamo rancori antirisorgimentali, un astio anti- italiano. Insomma, se vuoi vedere un arabo del futuro vieni nella Sicilia di oggi, anziché frequentare la scuola di via Quaranta.
Le considerazioni di Sharif sono belle ma sembrano appunto quelle di un nonno che rifiuta il futuro perché è la scuola la strada migliore, la sola possibile, per affratellare, per sprovincializzare, per secolarizzare. Solo la scuola riesce a staccare l'ostrica dallo scoglio. La scuola, che quando occorre si fa anche contro i nonni, ha una sola funzione: è un ponte che oltrepassa tutte le gibbosità, le irregolarità e le stranezze del territorio per raccordare punti lontani tra di loro e rendere più scorrevole il passaggio; per creare tragitti e potenziare la comunicazione da un punto culturale all'altro, pur tra mille condizionamenti e contraddizioni, tra autonomismi, imperialismi dialettali, riserve mentali ed eccentricità varie.
Solo a casa propria e nel nostro cuore restiamo liberi di coltivare ogni nostalgia: amori andati, memorie svanite, madeleines, divinità, Venere Apollo, Maometto e Cristo. Certo, il Comune di Milano ha inaugurato la via italiana al laicismo, la via sanitaria all'integrazione. Ha chiuso la scuola islamica per motivi igienici ma tutti sappiamo che in realtà l'ha chiusa perché è una scuola islamica, una scuola esclusiva che non insegna il terrorismo, ma che certamente irrigidisce la diversità, cadaverizza l'altrove, teorizza la separazione. Più coraggiosi e più laici, fuori dalle ipocrisie igieniche del sindaco di Milano Gabriele Albertini, ci sembrano invece il presidente della Provincia Penati, di centrosinistra, e il ministro dell'Interno Pisanu, un democristiano che sempre più si sta rivelando sobrio e intelligente: "I bambini islamici devono andare nelle scuole statali e imparare la lingua italiana: personalmente sono contrario a qualsiasi forma di educazione parallela che servirebbe solo a ghettizzare gli islamici in Italia, a farne una enclave nel nostro territorio, ovvero l'esatto contrario di quell'Islam italiano che vorrei io". È una posizione che ci pare più a "sinistra" dei difensori della separatezza che ci ricordano i colonialisti inglesi, i quali si sentivano tanto democratici perché riservavano agli indigeni un intero marciapiede, tutto e solo per loro.
Quella di via Quaranta è la sola scuola musulmana in territorio italiano al di fuori delle moschee, la più frequentata, se si esclude la tv Al Jazeera, che educa al catechismo e agli slogan i musulmani di tutto il mondo, italiani compresi. Ebbene, nessuno, neppure a Milano, si sogna d'oscurare Al Jazeera per "motivi igienici", benché ogni domenica uno ieratico signore in barba bianca e in perfetta tenuta fondamentalista, di nome Qardawi, risponda ai quesiti dei telespettatori di ogni parte del mondo. E sono quesiti di questo tenore: "Una donna che, come me, vive in Italia può portare il reggipetto?"; "Il sesso orale è possibile?"; "A scuola le nostre figlie possono stare nello stesso banco accanto a un maschio?"; "Quando i nostri ragazzi vanno in piscina possono indossare gli slip e, disobbedendo al Corano, mostrare le cosce?". Vi risparmio le risposte, tutte infarcite di versetti, di Sure e di Hadith.
La scuola di via Quaranta è sicuramente più luminosa di Al Jazeera, e chiuderla potrebbe persino, per un qualche tempo, risultare oscurantista e controproducente. Tuttavia il ricorso del sindaco Albertini all'ipocrisia sanitaria, alla scelta obliqua che risolve il problema senza affrontarlo di petto, non è dovuto soltanto al nostro solito tartufismo nazionale, ma nasconde l'enormità del problema e probabilmente anche la malafede dell'asino che dice cornuto al bue. La cultura dell'amministrazione del territorio milanese è infatti fortemente condizionata dall'"islamismo" e dal fondamentalismo leghista che non può ergersi a giudice del suo simile, di un altro fondamentalismo. Perciò il sindaco Albertini è costretto a fare il filisteo e a imboccare la via sanitaria al laicismo, perché, da brav'uomo qual è, non può certo identificarsi integralmente nella repressione illiberale e quindi nel fondamentalismo lumbard che va subito bestialmente alle mani con l'altro. Solo i leghisti riescono a condannare negli altri quello che esaltano in se stessi. E perché mai noi dovremmo condannare le scuole islamiche, quelle tradizionaliste ma non fondamentaliste, e per esempio accettare l'appello degli architetti italiani contro il "meticciato" architettonico, a difesa del nazionalismo urbanistico, o approvare l'italianità delle banche piamente voluta dal governatore Fazio, o incoraggiare la richiesta dell'introduzione di dialetti padani nelle scuole e negli uffici della Lombardia e del Veneto o infine scappellarci dinanzi all'antimeticcio Pera?
Ma la scuola di via Quaranta è un pasticcio anche per altri motivi. Fondata nel 1991 come emanazione di quell'inquietante Istituto di viale Jenner dove nel 2003 la Cia prelevò clandestinamente l'egiziano Abu Amar, la scuola è frequentata da 500 bambini, quasi tutti egiziani. Ed è sicuramente egiziana nei programmi, nell'ispirazione culturale e, si presume, anche nei finanziamenti. Musulmana per confessione religiosa, la scuola è ovviamente appoggiata, seguita e incoraggiata dalle istituzioni del Cairo, dove, va ricordato senza demagogia, è ormai in mano alla cultura fondamentalista anche la prestigiosa Al Azhar, una delle più importanti e più frequentate università islamiche, fondata 900 anni fa e nazionalizzata nel 1973.
Con il passare del tempo e con l'esplodere delle polemiche, la scuola di via Quaranta, un ex fabbrica dismessa, era diventata il terreno di sperimentazione delle buone intenzioni di quello che è stato chiamato il neoilluminismo milanese, soprattutto di alcuni professori dell'Università Cattolica, come l'islamista Paolo Branca per esempio. Perciò ora, con l'aggiunta della lingua italiana accanto all'arabo, la scuola si batteva, con qualche legittima speranza, per ottenere la parificazione, vale a dire i finanziamenti statali e il riconoscimento giuridico.

Come si vede in questa vicenda c'è davvero tutto intero il pasticcio italiano. In quella scuola si formano infatti cittadini egiziani che dovranno vivere da cittadini italiani. E dunque, anche se l'educazione egiziana non fosse ispirata ai principi della Fratellanza musulmana, alla strategia di rifondazione del Califfato, quella scuola andrebbe comunque chiusa. Perché la scuola italiana deve preparare i giovani a diventare italiani e non egiziani. Diceva di sé Raymond Aron: "Sono ebreo, ma innanzitutto sono francese". Come sempre dunque è a Milano che suonano le campane d'Italia, quelle che annunciano; le campane che risvegliano e allarmano l'intero paese. Il pasticcio infatti è davvero epocale. È un pasticcio che si addice ai tempi e a un'Italia che non è mai diventata compiutamente laica e che non è ancora multiculturale, un paese laboratorio dove il dibattito sul meticciato si sta facendo ferocemente estremista. Certo, i principi laici imporrebbero che tutte le religioni a scuola fossero antropologia e storia, ma in Italia non è così. Senza perderci ancora una volta nel dibattito sull'aiuto statale alle scuole cristiane e sulla parziale sconfessione del principio cavouriano "libera Chiesa, libero Stato", vogliamo solo ricordare, come esempio, il recentissimo licenziamento di quell'insegnante di religione che osava indossare l'innocua minigonna. La laicità a metà e l'estremismo neocattolico rendono arlecchinesco il paese, a parziale attenuante del tartufismo del sindaco Albertini che in fondo è un altro nonno. Come Ali Sharif anch'egli non capisce i nipoti e perciò si limita a chiudere invece di aprire.


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