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Repubblica: Il potere

Intervista al filosofo Andrea Cavalletti quando le masse sono pericolose È la solidarietà a far emergere una coscienza e a creare la "classe" La società è interamente pervasa dal modello dell´impresa

30/07/2009
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la Repubblica

LEOPOLDO FABIANI

Perché parlare, oggi, di classe? È scomparsa dalla scena politica e teorica che aveva tenuto saldamente per oltre un secolo. Da quando Marx aveva visto nel conflitto tra le classi il motore della storia, schiere di politici e studiosi (non solo marxisti) avevano considerato gli operai, il proletariato urbano, come gli eroi del progresso e del cambiamento sociale, oggetto anche di una potente mitologia (la "rude razza pagana" di Mario Tronti). Le trasformazioni dell´economia degli ultimi decenni hanno messo fine a tutto questo e lasciato la parola classe solo sulla bocca di qualche irredimibile nostalgico.
Ecco che invece un filosofo quarantenne, Andrea Cavalletti, dedica al tema un libro, intitolato appunto Classe (Bollati Borighieri, pagg. 160, euro 9). Che non ha nulla di rétro e contiene invece una prospettiva inedita che illumina in modo sorprendente anche il nostro presente, tralasciando i testi della tradizione economica e sociologica, e adottando invece gli strumenti concettuali di filosofia, letteratura e psicologia. Cavalletti è nato nel 1967, ha studiato urbanistica con Bernardo Secchi, filosofia con Giorgio Agamben, si è occupato dello studioso del mito Furio Jesi curandone alcune opere. Dopo un lungo soggiorno in Germania oggi insegna Estetica allo Iuav di Venezia e vive a Bologna.
Professor Cavalletti, oggi dedicare un libro alla classe può sembrare un´operazione quasi bizzarra.
«In effetti è una parola "impronunciabile". Ma coloro che, dopo tanto uso, l´hanno dismessa per vergogna, pentimento, imbarazzo l´hanno anche liberata per un nuovo uso che non è più ideologico. Sono partito da una nota di Walter Benjamin che mi è parsa di un´attualità folgorante. Dove sostiene che è la solidarietà a trasformare la massa informe in classe rivoluzionaria».
Cosa significa?
«La massa è tenuta insieme da sentimenti come l´inimicizia e la paura. La solidarietà rompe questo meccanismo e crea la coscienza di classe. Viceversa quando questa non c´è, esiste solo la massa indistinta piccolo borghese, la folla pericolosa».
Perché giudica questa intuizione così importante?
«Benjamin scrive nel 1936. Il suo testo rovescia tutte le definizioni che volevano ancorare la classe operaia al dato sociologico o economico. E anche l´idea di Lukàcs che identificava la coscienza di classe nella consapevolezza del processo storico. La data è decisiva, per la lucidità con cui Benjamin si accorge che proprio quelle masse che avrebbero dovuto assicurare la marcia verso la rivoluzione proletaria, danno invece vita a un aggregato criminale che porta al nazismo. Sempre nel ‘36 esce il film di Fritz Lang Furia. C´è una scena cruciale, quando gli abitanti della città vedono il filmato che li ritrae mentre cercano di linciare Spencer Tracy. E sono spaventati da sé stessi quando agiscono come una folla».
Perché tutto questo è anche di grande attualità?
«Si può leggere in quella nota: "La manifestazioni della massa compatta rivelano sempre un tratto panico sia che in esse si esprima l´entusiasmo bellico o l´odio per gli ebrei". E, aggiunge, la folla è sempre latente. Come non pensare a queste parole quando leggiamo notizie come quella delle molotov lanciate contro un campo nomadi a Napoli. Oggi questa folla pericolosa è, mi sembra, il vero spazio della politica. Abitata com´è da una forza che preme all´interno con le ronde e all´esterno con i respingimenti degli immigrati».
Una società che si sente "sotto assedio".
«Siamo di fronte a una piccola borghesia "illimitata", non legata all´economia della produzione, ma ai meccanismi di finanziamento dei consumi. Che reagisce non tanto se sente minacciate le basi materiali dell´esistenza, la sussistenza. Ma quando viene messo in discussione il modello di vita complessivo, che si manifesta appunto nel consumo e nel tempo libero».
E la crisi economica è destinata ad aggravare queste insicurezze, o a mettere in crisi questo modello?
«Naturalmente tutto diventa più duro in tempi di crisi. E la reazione dell´individuo potrebbe suonare così: voi mi avete insegnato ad avere paura di tutto, e il disastro finanziario ed economico di cui portate la responsabilità mi spaventa ancora di più. In qualche modo dunque, stimolare la percezione di un pericolo sempre in agguato, la tecnica usata per mantenere le masse in un perenne stato di folla (con l´illusione di controllarle) può ritorcersi contro chi lo mette in atto».
Lei sottolinea l´importanza del rapporto tra la massa e il leader.
«La folla ha bisogno di un capo. Anche qui Benjamin vede benissimo le mutazioni in atto e spiega che il nuovo politico non è il parlamentare tradizionale, ma un uomo che "deve stare davanti alla macchina da presa". Prima di lui autori come Le Bon avevano guardato solo alla manovrabilità delle masse da parte dei leader, la novità della sua analisi sta nel comprendere che l´influenza è reciproca».
Si parla di suggestione.
«È il concetto chiave. La folla è suggestionabile, ma a sua volta lo è anche chi la guida e che invece finisce spesso per assecondarla. La figura del demagogo aveva già preoccupato diversi autori. Bernheim parlava di un "imbecille istintivo" che ha sempre bisogno di una cerchia di fedeli, Tarde aveva individuato il pagliaccio carismatico».
Figure che si possono ritrovare nel presente?
«Forse, ma io vedo comunque due novità sostanziali. Il meccanismo di suggestione e di autosuggestione è così sviluppato che la politica oggi appartiene a coloro che si convincono di ciò che dicono. Poi, la folla è modellata dall´"incantesimo dell´impresa". Lo stile di suggestione dominante per l´intera società è quello aziendale. La conseguenza naturale è che il leader sia un imprenditore, come Berlusconi».
La massa e la folla sono il destino inesorabile della società contemporanea o c´è qualche speranza?
«L´attualità della folla e quella della classe sono la stessa cosa. La solidarietà che trasforma l´una nell´altra è solo una possibilità, ma esiste sempre. Il fatto che alcune persone dedichino il loro tempo libero ai diritti degli immigrati o che altri scioperino per i lavoratori interinali (magari contro i propri interessi) è lì a dimostrarlo».
Ma non si tratta qualcosa che rischia di limitarsi alla testimonianza senza provocare alcun cambiamento?
«Anche solo la testimonianza di un modo di vita diverso da quello dominante è importante. Insisto sul fatto che chi fa queste scelte lo fa per piacere, per amore della vita e non per un "sacrificio buonista", un´astratta esigenza morale. È la prova che esistono delle esigenze irriducibili che non vengono soddisfatte dal dispositivo sociale in cui viviamo. E che in questo meccanismo si aprono delle falle».


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