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Repubblica-IL PIATTO DI LENTICCHIE

IL PIATTO DI LENTICCHIE MASSIMO GIANNINI Un Paese "contro". Trenta scioperi nei prossimi quaranta giorni. La scuola scende in piazza oggi, per dire no alla riforma Moratti e al taglio dei 1...

15/11/2004
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la Repubblica

IL PIATTO DI LENTICCHIE
MASSIMO GIANNINI
Un Paese "contro". Trenta scioperi nei prossimi quaranta giorni. La scuola scende in piazza oggi, per dire no alla riforma Moratti e al taglio dei 15mila docenti che dovrebbe finanziare gli sgravi Irap del 2005. Da domani scatteranno le agitazioni a raffica del trasporto locale e dei lavoratori elettrici. Da venerdì toccherà al trasporto aereo: prima gli assistenti di volo, a fine mese i piloti. Il 24 novembre si fermeranno, insieme, magistrati e avvocati. Il 30 novembre è in agenda lo sciopero generale di Cgil, Cisl e Uil. A dicembre incroceranno le braccia i Vigili del Fuoco, gli "operatori ambientali" e persino i musicisti. Se l'Italia di oggi fosse la Gran Bretagna degli anni '70, e se Berlusconi fosse davvero la Thatcher, il giudizio sarebbe inequivoco: il Leviatano sindacale, fatto di vecchie corporazioni e di interessi costituiti, si ribella al cambiamento.
La verità, purtroppo, è un'altra. Al centrodestra italiano, al contrario dei Tories inglesi di 30 anni fa, sta riuscendo un miracolo al contrario: il conflitto senza le riforme. Il Paese è "contro" non perché resiste alla modernizzazione. Semmai perché non la vede e, paradossalmente, non se ne sente né "promotore" né "vittima". Ma intanto, invece dei costi del cambiamento sociale, paga un prezzo sempre più alto al mancato risanamento economico. Il capolavoro di questa strategia dissennata e autolesionistica è il "teatrino delle tasse", che si sta consumando dentro la maggioranza, e sta consumando la maggioranza. Oggi la Casa delle Libertà riunirà l'ennesimo incontro tecnico-politico, per discutere il pacchetto di sgravi fiscali dei prossimi tre anni. È l'undicesimo vertice dall'aprile scorso, quando il premier annunciò per la prima volta la sua intenzione di varare "subito" (si era in piena campagna elettorale per le amministrative) il secondo modulo della grande riforma dell'Irpef annunciata nel 2001.
È l'ennesimo atto di una farsa condannata a non chiudersi mai. Ma destinata a logorare la già delegittimata leadership del Cavaliere, a sfasciare i già compromessi equilibri del Polo e a debilitare la già fragile tenuta socio-economica del sistema.
Il centrodestra divide e si divide intorno a un bugiardo piatto di lenticchie. I leader stanno alimentando il "fuoco" del conflitto redistributivo nel Paese, e del conflitto politico nella coalizione, perché non hanno il coraggio della verità. Berlusconi non si vuole rassegnare all'evidenza: la clausola più importante del "contratto con gli italiani", che tre anni e mezzo fa gli fece stravincere le elezioni, è diventata inattuabile.
Le tasse non si possono abbassare. Il bilancio pubblico italiano, come ha già detto il governatore della Banca d'Italia Fazio, "è in condizioni gravi". La Finanziaria da 24 miliardi, appena varata dal governo e già impallinata dal Parlamento a partire dall'articolo 1, è un mezzo colabrodo. Come ha avvertito il Fondo monetario internazionale nel suo rapporto di mercoledì scorso, "la sostenibilità di lungo periodo è ancora lontana", il "raggiungimento degli obiettivi è soggetto a rischi sostanziali" ed è raccomandabile che "durante il dibattito parlamentare si introducano misure aggiuntive pari a mezzo punto di Pil". In moneta sonante: la Finanziaria non è ancora passata alle Camere, e già c'è un buco aggiuntivo di 5-6 miliardi nei conti dell'anno prossimo. Oltre alla manovra-bis, serve già oggi anche la manovra-ter. In questa cornice (purtroppo e a tutto danno del portafoglio degli italiani, che deve interessare a tutti, prima ancora che della credibilità politica del premier, che in fondo preme esclusivamente a lui) ridurre in misura sensibile la pressione fiscale è un'avventura suicida. Un salto nel buio dell'irrealtà e dell'irresponsabilità.
Ciononostante, il Cavaliere vuole osare. Vuole azzardare l'ultimo spot elettorale, che gli consenta di presentarsi alle regionali prima, alle politiche poi, senza ammainare la sua "bandiera". Riproponendo ancora una volta non già il taglio effettivo delle imposte, già realizzato, ma la promessa di un taglio virtuale che, forse, non arriverà mai. Berlusconi, presunta e pretesa incarnazione del "nuovismo", fa politica rinnovando l'evocazione di un nuovo sogno mediatico, come i leader della Prima Repubblica drenavano soldi e consensi rinnovando l'emissione di nuovo debito pubblico. Ma la "cucina" del Tesoro, stavolta, non può mettergli a disposizione granché. Un "piatto di lenticchie", appunto. Cos'altro è il pacchetto di sgravi fiscali riassunto da Siniscalco in un emendamento di 17 cartelle, che sulla carta vale solo 5,5 miliardi di euro, e dei quali appena 3,58 sembrano effettivamente coperti? Il ministro, per non far esplodere definitivamente i conti pubblici, è riuscito almeno a convincere la coalizione a rinviare di un anno la rimodulazione delle aliquote dell'imposta sui redditi. E a circoscrivere molto l'area dei "beneficiari" degli sconti per il 2005. Ma questa pur sensata "riduzione del danno" rischia lo stesso di scontentare tutti. Ripetendo uno schema già collaudato dal 2001 a oggi, il governo dà con una mano e riprende con l'altra. Alle famiglie concede nuove detrazioni dall'Irpef per 900 milioni di euro, ma gli toglie quelle esistenti che valgono poco meno. Alle imprese concede l'abbattimento dell'Irap per 2,7 miliardi di euro, ma gli sottrae 500 milioni dalla legge 488, 200 milioni dai contratti d'area, 300 milioni dal fondo per le aree sottoutilizzate. Il saldo finale è davvero misero.
Soprattutto per i nuclei più bisognosi. Secondo le stime dell'Udc il vantaggio finale di questa manovra, per le famiglie non abbienti, sarebbe di 100 euro all'anno. Poco più di 8 euro al mese. È vero che in tempi di recessione tutto può aiutare. Ma con 16mila delle vecchie lire in più in busta paga, francamente, è quanto meno esagerato sproloquiare sul "rilancio dei consumi" o peggio ancora sulla "scossa all'economia".
Eppure i leader del centrodestra trovano il modo di litigare anche di fronte a questa risibile "mancia" pre-elettorale. Di più. Con cinico opportunismo, riescono a giocarsela al tavolo del rimpasto, in una infinita partita a poker con Berlusconi che, se nel 1994 gridava "non mi lasciano governare" rivolto all'opposizione, nel 2004 si sente costretto a ripetere la stessa lagna ma rivolgendola alla sua maggioranza. Ma non c'è un vincitore, in questa assurda partita. Forza Italia, Lega, An e Udc stanno fomentando solo indignazione diffusa, dai sindacati alle imprese. Si contendono un piatto di lenticchie. Fingendo di ignorare che, oggi come ieri, nessun pasto è gratis. A Berlusconi, invece della pericolosa scommessa sulla disponibilità dell'Europa di rivedere i vincoli del Patto di stabilità, servirebbe il coraggio della verità. Lo stesso che ha avuto Sarkozy: in una Francia in difficoltà finanziaria come l'Italia, ma con un debito pubblico pari a meno della metà, il neoministro delle Finanze ha rinnegato una promessa del premier Raffarin e ha detto ai francesi "scusate, ma per ora non vi possiamo ridurre le tasse".
Al centrosinistra, che invece di stilare in fretta un programma alternativo sembra tentato di speculare sui disastri del centrodestra e di cavalcare il dissenso sociale che hanno prodotto, servirebbe l'etica della responsabilità.
La stessa che ha indicato Thomas Friedman sul New York Times, dopo il voto americano: "Non metterti mai in una posizione per cui il tuo partito vinca solo e a prezzo del fallimento del tuo Paese". Valeva per Kerry, dovrà valere anche per Prodi.


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