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Repubblica: Il peso della Lega Nord nella nuova legislatura

L´inquietudine nasce dal fatto che la coalizione è condizionata da voti che puntano sulla slegatura dello Stato unitario

21/04/2008
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la Repubblica

ANDREA MANZELLA

C´è stata una grande vittoria della Lega Nord e i suoi voti saranno determinanti per la maggioranza sia alla Camera sia al Senato. Quali che siano le (gradite) rassicurazioni, questo risultato porta con sé una oggettiva inquietudine per la tenuta della casa Italia. Non tanto per come funzionerà da domani, quanto per come reggeranno i suoi muri maestri, le sue giunture, le sue volte sotto cui stiamo insieme – come quelli prima di noi – da quando l´"espressione geografica" divenne Stato.
L´inquietudine nasce dal fatto che la coalizione che ha vinto è condizionata da voti che puntano sulla slegatura dello Stato unitario. Né vale dire che "l´altra volta" non è stato proprio così. Perché dall´"altra volta" sono successe molte cose.
Archiviamo, ovviamente, come cose da campagna elettorale le chiamate ai "fucili" (sempre di cattivo genere però in un Paese che ha subìto il più vasto e più lungo movimento terroristico europeo e dove le organizzazioni mafiose sparano ogni giorno davvero). Andiamo ai programmi.
A Vicenza, il 2 marzo 2008, un "parlamento del nord" proclamava testualmente che «il processo di disgregazione e di dissoluzione dello Stato nazionale è ormai giunto al capolinea». Proponeva perciò «la suddivisione del territorio della Repubblica italiana in tre Euroregioni, a esse accordando sovranità esclusiva, vale a dire la libertà, intesa come autonomia e autogoverno, in termini di potere legislativo, amministrativo, giudiziario. Le tre regioni, federate, saranno rappresentate dal Senato federale». E´ una citazione: non una esagerazione. Perfino con una sua apparenza di legittimazione formale: l´Europa delle regioni transnazionali; una Camera «territoriale»...
Ma nella realtà delle cose e della storia quei programmi, se davvero attuati, sarebbero contro la unitarietà e la vitalità del nostro ordinamento costituzionale e di quello europeo. Perché? Perché l´Unione europea non va presa a pezzettini. Invocata come santa protettrice contro la sovranità statale e ferocemente avversata quando fa valere le sue leggi sovrastatuali e la sua Carta dei diritti fondamentali.
Perché il regionalismo, favorito e promosso dall´Unione europea, con l´autogoverno amministrativo dei fondi comunitari, ha come sua bussola il principio di coesione economica e sociale: che è cosa opposta al principio di separazione regionale lungo linee di confine tracciate necessariamente dalle regioni più ricche.
Perché l´"etnonazionalismo", che con questo tipo di regionalismo si vuole moltiplicare, è cosa assolutamente contraria al progetto comunitario originario, basato sull´apertura e sull´unione sempre più stretta tra i popoli degli Stati membri: e non sul frazionamento di ciascuno Stato membro in artificiose identità localistiche (sul fatale modellino dell´ex Jugoslavia).
Perché, per la nostra futura Costituzione, la Camera delle "regioni" sul giusto esempio del Bundesrat, non deve essere il «grimaldello per fare saltare il sistema centralista», come è minacciosamente raffigurata. Al contrario, deve essere il punto centrale della Repubblica in cui le autonomie territoriali «si parlano» e si «ricompongono» seguendo l´asse dell´interesse nazionale. Cioè l´asse lungo il quale il nord, il centro e il sud fanno, dei loro interessi, un interesse comune.
Ecco i tanti "perché" che appesantiscono questa vittoria. E´ la misura stessa di equilibrio costituzionale, così importante per la buona convivenza nazionale, che appare a rischio. Ed è certo un peccato che durante la campagna elettorale non si sia colta l´occasione di un pacato appello alla "leale cooperazione" costituzionale, per alleggerire il peso di questi "perché".
L´inquietudine è dunque grande. Ma ora è necessario che prevalgano le ragioni della composizione istituzionale. E per arrivarci si deve innanzitutto capire perché tanti italiani si sono «rintanati». E poi convincere perché e come ancora convenga stare insieme, nell´Europa e nel Mediterraneo: per tornaconto economico, per sinergie vitali, per la forza della storia.
Da tempo si sa che il vecchio Stato non serve più nella sua struttura e nella sua funzionalità. Ora il tempo si è fatto terribilmente stretto per la necessità di cambiarlo. Ma certo non è venuto il momento di un incosciente "bye, bye Italia".


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