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Repubblica: Il leader della Cgil: dovremo riflettere sull´esito assolutamente inequivoco delle elezioni

"Quel voto operaio, un segnale anche per noi ma per il sindacato non arriverà lo tsunami" Le elezioni hanno portato molte incognite per il paese, per la condizione dei lavoratori, dei precari, dei pensionati. La priorità deve essere il sostegno dei redditi più bassi

17/04/2008
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la Repubblica

ROBERTO MANIA

ROMA - «L´esito assolutamente inequivoco delle elezioni porta con sé molte incognite per il paese, per la condizione dei lavoratori, dei pensionati e dei precari. Per la funzione di coesione nazionale che svolgono alcuni servizi fondamentali, dalla scuola alla sanità. Su tutto questo anche la Cgil dovrà riflettere. Il voto operaio alla Lega? Non è un campanello d´allarme per il sindacato, ma un segnale che, certo, apre un problema a tutti, pure a noi». Così Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, la massiccia confederazione rossa che si prepara a una nuova legislatura a guida di centrodestra e a forte presenza leghista. Poi pronuncia i primi due no a Berlusconi: no all´uso del tesoretto per l´abolizione, in questo momento, dell´Ici e per la detassazione degli straordinari. Infine, forse anche per rispondere alla sfida della Lega, Epifani spiega che il sindacato dovrà tornare a fare del territorio e dei luoghi di lavoro il «cuore» della sua azione.
Ma come può dire che non ci sia stato un allarme quando, spesso con la tessera della Cgil in tasca, gli operai delle grandi fabbriche come quelli delle piccole imprese hanno votato per la Lega o per il Pdl. Non crede che questa sia anche una sconfitta per il suo sindacato? O la Cgil ha rinunciato a quel ruolo politico e culturale che nel passato ha rivendicato con orgoglio?
«Il voto alla Lega non è una novità. Siamo stati noi i primi a "scoprire" questa tendenza all´inizio degli anni 90. Da quindici anni circa i lavoratori del pubblico impiego e gli insegnanti si esprimono a favore del centrosinistra, l´orientamento dei pensionati si divide a metà, mentre tra i lavoratori del settore privato c´è una prevalenza del voto al centrodestra tra le fasce meno qualificate e un voto al centrosinistra tra quelle più qualificate e impiegatizie. Ho l´impressione che questa tendenza esca confermata dalle ultime elezioni e forse anche rafforzata in alcune aree. Il voto al Carroccio non è esprime solo malessere. È una scelta più complessa perché la Lega è una realtà molto radicata in quei territori. È un voto che risponde a un bisogno di identità che non trova altre risposte. Ora, per la Cgil non è in discussione la scelta, totalmente libera, di ciascun iscritto. Il problema è che alcune parti del programma della Lega e i valori cari alla Cgil sono diametralmente opposti. Penso alla nostra idea di federalismo solidale, alle politiche per l´accoglienza degli immigrati. Ecco: da questo punto di vista c´è una riflessione che va fatta, per comprendere come si vive una contraddizione di tale natura».
La sinistra radicale scompare dal Parlamento ma resta fortemente rappresentata nella Cgil. Non teme che quest´area possa spingervi allo scontro con Berlusconi per ottenere la rivincita nelle piazze?
«Il fatto che non ci sia una sinistra radicale in Parlamento è un aspetto negativo di questo voto perché, invece, è presente nella società. Su questo tutti dovranno interrogarsi senza, tuttavia, scaricare su altri le proprie responsabilità. Quanto alla Cgil, rimane un luogo di incontro di tanti pluralismi e continuerà ad esserlo. Terrà, in autonomia, la propria linea. Ma non sarà il luogo di alcuna rivincita».
In quindici anni il quadro politico si è trasformato. Il sindacato, invece, è sempre lo stesso. Quando la vostra autoriforma? Non teme che possa arrivare uno tsunami anche per voi?
«Il sindacato si è riformato molto più di quanto si pensi. Abbiamo sciolto le componenti di partito prima del crollo della prima Repubblica. E questo ci ha messo al riparo. Abbiamo sempre espresso posizioni di responsabilità e svolto la nostra azione di mediazione sociale. Il problema di oggi è che dobbiamo spostare di più il cuore della nostra attività nel territorio e nei luoghi di lavoro. Lo dobbiamo fare perché è cambiato il ciclo produttivo ed è cambiato il territorio. Qui ora hanno più potere gli enti locali, c´è una maggiore capacità di aggregazione, si ritrovano identità e nuovi bisogni e qui, infine, c´è anche un maggiore domanda di sicurezza. Il nostro futuro risiede nel territorio: è questa la nuova sfida. Quindi non ci sarà alcuno tsunami per chi ha un così forte radicamento. Noi accettiamo le critiche che ci spingono a riflettere sui nostri errori, non le campagne senza fondamento tese a colpire indistintamente il sindacato».
Lei ha detto che tra le cause della sconfitta del Pd c´è anche la mancata decisione del governo Prodi di distribuire il tesoretto. Se anche Berlusconi non lo farà andrete allo sciopero come avreste fatto se non ci fosse stata la crisi?
«Lo sciopero è decaduto con la legislatura, ma rimane intatto il problema di affrontare l´emergenza redditi».
Berlusconi pensa all´abolizione dell´Ici e alla detassazione degli straordinari. Perché siete contrari?
«Credo che per l´Ici si possa aspettare perché la priorità è il sostegno dei redditi più bassi tanto più in una fase di peggioramento della congiuntura economica. Il che vuol dire restituire, da subito, per via fiscale 4-500 euro l´anno a lavoratori e pensionati. Poi non farei diventare la querelle sugli straordinari una questione ideologica. Io la penso come la commissione Finanze dell´Assemblea francese che ha fatto i conti sulla legge di Sarkozy all´insegna del "lavorare di più per guadagnare di più": il risultato è che quel provvedimento costa 4,1 miliardi e ne distribuisce 3,78. Quindi siamo in presenza di un provvedimento che costa alle casse pubbliche più del beneficio che produce».
Intanto, dopo oltre dieci anni di discussioni, avete perso l´occasione di riformare i contratti con il governo Prodi, soprattutto per le vostre resistenze. Non crede che con Berlusconi sarà più difficile?
«Si è persa l´occasione per colpa della fine anticipata della legislatura. È vero che ora diventa più difficile. Lavoriamo a una posizione unitaria di Cgil, Cisl e Uil e spero che il governo non provi, come nel 2002, su questo o su altro a dividere i sindacati perché sulle regole del gioco, sia per le istituzioni sia per gli aspetti sociali, ci vuole il consenso di tutti».


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