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Repubblica: I tagli alla scuola contraddicono il ministro

La scure che si è abbattuta sui finanziamenti non aiuterà ad introdurre un sistema di premi per chi lo merita

30/08/2008
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la Repubblica

SALVATORE SETTIS

È vero che la scuola nelle regioni del Sud è uniformemente di basso livello, che i suoi insegnanti sono "indietro" rispetto ai loro colleghi del Nord? No, non è vero. Ma allora è vero che la scuola italiana, pur con tutti i suoi problemi, ha un livello uniforme su tutto il territorio nazionale? No, nemmeno questo è vero.
Ci sono disparità grandissime, a volte fra scuole o licei della stessa città (che può essere Treviso o Catania), con punte verso il basso che talvolta si concentrano in modo assai preoccupante in certe zone del Paese (non necessariamente, non solo al Sud). Non è nemmeno vero che nessuno se ne è accorto. In Calabria (cito, a scanso d´equivoci, la regione dove la mia famiglia è radicata da quasi seicento anni) la Regione ha appena lanciato, grazie al suo vicepresidente Domenico Cersosimo, un Piano d´azione 2007-2013 per complessivi 101 milioni di euro per l´istruzione e la formazione. I presupposti (cito dal sito ufficiale della Regione): «Sappiamo che esistono deficit e carenze che investono i nostri studenti, soprattutto a livello logico-matematico» (Loiero); «dal punto di vista delle competenze, la Calabria parte da uno svantaggio abissale, che è molto più pesante di quello fisico o geografico» (Cersosimo).
Con lungimirante intelligenza, Cersosimo sottolinea che il Piano «vuole iniziare a colmare il deficit nell´ambito del ciclo completo della formazione (...); si occupa di lavorare sulla base ma non dimentica le punte. Si propone di agire in termini di profezia perché mette finalmente in agenda la scuola e vuole premiare sia gli studenti che i docenti».
Parole d´ordine che, lo si vede subito, sono in sintonia con la preoccupazione del ministro Gelmini di «rimettere al centro della scuola il merito e la responsabilità», di immaginare la nostra scuola (la scuola della Repubblica Italiana) come il luogo in cui si alimenta «una visione, una cultura, un´idea dell´Italia e del suo futuro». È esattamente quello che è mancato e che manca alla scuola italiana, come ha scritto Galli della Loggia sul Corriere del 21 agosto. Essa riflette «la crisi dell´idea di Italia, è lo specchio della profonda incertezza di chi a vario titolo la guida», dal governo agli addetti ai lavori. Perciò occorre «ridare profondità storico-nazionale alla scuola, riappropriarsi del passato e della propria tradizione per ritrovarsi (...) riaffermando il carattere multiforme ma unico e specifico dell´esperienza italiana, (...) ricostituire culturalmente e organizzativamente il rapporto centro-periferia e Nord-Sud».
Il ministro Tremonti ha difeso sul Corriere i tagli a tutto e a tutti in nome della riduzione del deficit pubblico, e ha avanzato per la scuola alcune proposte, naturalmente a costo zero o con qualche risparmio: reintrodurre i voti in luogo dei verbosi giudizi, tornare al maestro unico nelle elementari, dare una qualche regola all´uso e all´abuso dei libri di testo. Su queste proposte, personalmente sono d´accordo con lui. Ma Tremonti sarà il primo a riconoscere che misure cosmetiche come queste non toccano il cuore del problema.
La scure che si è abbattuta sui finanziamenti non aiuterà ad avere scuole meno fatiscenti e più attrezzate; non incoraggerà a introdurre meccanismi premiali del merito; non capovolgerà, come sarebbe necessario, il messaggio fondamentale che viene dal governo di turno: che la scuola è marginale, conta poco o nulla rispetto alle priorità della politica. Come ha scritto Adriano Prosperi su questo giornale (25 agosto), «dalle condizioni sociali in cui si svolge la scuola nasce una disaffezione profonda e diffusa; nasce anche un minaccioso processo di produzione di disadattati».
In altri Paesi, ma anche nel nostro in altri momenti della sua storia, dovrebbe soccorrerci il richiamo alla Costituzione. La nostra pone la scuola fra i meccanismi essenziali al «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3), e prescrivendo l´uguaglianza piena dei cittadini privilegia «i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi». Ma oggi è di moda parlare di Costituzione non per difenderla come un testo sacro (così fanno i cittadini degli Stati Uniti), ma solo per dire che è invecchiata.
Nella nostra Costituzione, viceversa attualissima, troveremmo quello che stiamo cercando, "un´idea dell´Italia", articolata con vivo senso della storia e con impressionante lungimiranza. Ma vogliamo cercarla davvero, un´idea dell´Italia, vogliamo davvero che la scuola ne sia il laboratorio e il tramite? Che cosa ha a che fare con questo progetto il vilipendio all´inno nazionale impunemente sbandierato da un ministro in carica? È forse "educativo"? E come è possibile alimentare una qualsiasi idea dell´Italia mentre ci avviamo verso un rassegnato federalismo senz´anima, senza che nessuno ci spieghi nemmeno quanto costerà, quanti altri tagli di bilancio, quante ulteriori disuguaglianze finirà col provocare?

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