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Repubblica-I silenzi del ministro sull'Università di Urbino

LA LETTERA I silenzi del ministro sull'Università di Urbino ILVO DIAMANTI CARO direttore, insegno a Urbino dal 1989, quando ancora non ero di ruolo. Non me ne sono più andato da allora....

24/03/2005
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la Repubblica

LA LETTERA
I silenzi del ministro sull'Università di Urbino
ILVO DIAMANTI
CARO direttore, insegno a Urbino dal 1989, quando ancora non ero di ruolo. Non me ne sono più andato da allora. Ci vado tutte le settimane; e ci resto: due, più spesso tre giorni. Per fare lezione, seguire seminari, partecipare alla programmazione e all'organizzazione, a diverso livello. Visto che i carichi burocratici e operativi dei docenti, di riforma in riforma, si sono accumulati. Peraltro, nei pressi di Urbino (a Urbania, per la precisione), ho comprato casa, da più di dieci anni. Mi ci trasferisco ogni anno, insieme alla mia famiglia, da giugno a settembre, approfittando del periodo di pausa scolastica dei miei figli. D'altronde, a Urbino in agosto c'è la summer school. Così ne approfitto, per avvicinare lavoro e famiglia, per un po' di tempo. Va da sé che ho fatto questa scelta in modo consapevole. Negli anni Novanta ero incardinato all'Università di Padova, vicino a casa (abito a Caldogno, cintura di Vicenza). Il va-e-vieni Vicenza-Urbino mi costa. Ma soprattutto è faticoso. Settecento chilometri al colpo, considerando il doppio viaggio. Sette ore e a volte di più. Più di venti giorni l'anno passati in auto (in treno sarebbe un'avventura). Però, nonostante le possibilità di "emigrare" e di riavvicinarmi a casa non mi siano mancate, sono rimasto a Urbino. Per diverse ragioni: personali e professionali. Perché è una città bellissima. Bellissima, di suo. Immersa in un ambiente altrettanto bello. Il Montefeltro è straordinario. Perché, nel corso del tempo, mi sono radicato e ho sviluppato le mie attività. Ho affinato i miei attrezzi, cresciuto un gruppo di giovani studiosi e ricercatori,

Avviato un laboratorio di studi politici (laPolis), stretto relazioni con le istituzioni e le associazioni che operano sul territorio, ma anche con la comunità scientifica internazionale. Perché Urbino, come poche altre Università, offre uno scenario ideale. Dispone di spazi, strutture, che hanno secoli. Acquisite e riadattate alle esigenze dell'Università, soprattutto negli ultimi cinquant'anni, grazie alla lunghissima e lungimirante guida di Carlo Bo. Urbino mi ha offerto opportunità. E continua a offrirmele ancora. Sono rimasto a Urbino, peraltro, perché da quando sono arrivato, l'ho vista crescere. Gli studenti sono raddoppiati: da 10 a 20mila, in quindici anni. E, con loro, ovviamente, è cresciuto anche il personale docente (500 strutturati) e non docente. Come l'offerta formativa (11 facoltà, decine di corsi di laurea, di dottorati, master, ecc.).
È una sorta di città-campus. Dove i contatti fra studenti e docenti sono frequenti. Gli abitanti, perlopiù, se ne sono usciti. Hanno abbandonato il centro storico agli studenti. E questo è un problema. Perché la città vive se è vissuta. Tuttavia Urbino ha una storia, un'identità tanto forti da rendere urbinati anche gli studenti.
È divenuta una grande Università, Urbino, negli ultimi 15 anni della sua storia (che è lunga: compie 500 anni nei prossimi mesi). Ma il finanziamento statale (fissato dalla Legge 243 è rimasto inalterato) è rimasto lo stesso del 1991, mentre l'inflazione è cresciuta del 33%, il costo del personale non docente del 36% e quello del personale docente del 35%. Tanto per fare qualche raffronto con le università vicine, solo nel decennio 1994-2003 il finanziamento statale è cresciuto dal 60 al 130%. I contributi dello Stato, per Urbino, rappresentano il 23% delle entrate, contro l'80% delle statali. Le altre università non statali hanno affrontato questo problema agendo sulla leva delle tasse (in alcune di esse arrivano ad essere 8-9 volte superiori alle nostre). Preferendo, inoltre, ricorrere a docenti a contratto piuttosto che a professori di ruolo. A Urbino si è scelto una diversa strada. Qualificare la docenza, stabilizzarla, mantenendo i costi per gli studenti al livello di quelle statali. Una scelta che alcuni criticano. In nome delle virtù del mercato, avremmo dovuto far pagare cara la nostra offerta didattica e scientifica. Ma Urbino non è una Università privata: è una Università libera e pubblica. Perché sono pubblici i suoi "soci fondatori" (comune, provincia, fondazione bancaria, ecc&). Perché si rivolge a migliaia di studenti, non a cerchie di eletti. Ha un "pubblico" nazionale, è parte di una rete scientifica internazionale. Non è una università "regionale". Per questo, dopo aver tentato, per anni, di far quadrare i conti, bilanciando la crescita della dimensione e dei costi, con entrate decrescenti, ci "siamo" decisi a chiedere la "statalizzazione". Di diventare una Università statale. Anche perché, nel corso degli anni, le Università statali sono diventate sempre più autonome e flessibili. E a noi sono rimasti solo gli svantaggi, della "libertà". Abbiamo affrontato, per questo, l'incomprensione di una parte della città. Per paura che lo Stato le "sottragga" l'Università. Timori comprensibili, che però l'esperienza dissolve. Chi può negare il legame fra Siena, Pavia, Trento città medie - e la loro Università, statale, e prestigiosa?
L'esigenza prima, per una Università è di poter continuare a svolgere il suo lavoro, la sua "missione" che ha proiezione universale (tale è il senso originario di universitas), come la ricerca e la cultura. Come l'immagine di una piccola città con una grande storia, qual è Urbino. La condizione affinché Urbino resti una Università libera e pubblica è che divenga statale. In tempi non troppo lunghi, perché i debiti la stanno schiacciando. Inevitabilmente. La forbice fra le spese e i costi è sempre più larga. Ma i tempi, in effetti, si sono fatti già troppo lunghi. Mesi e mesi, trascorsi dall'invio della richiesta (ottobre). Senza una risposta, senza indicazioni chiare, da parte del Ministro (dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca). Quasi a voler fiaccare, nell'incertezza, la dignità di questo Ateneo e della sua città. Sullo sfondo, la fastidiosa insistente, voce che Urbino sarebbe come cicala che per troppe estati ha cantato a squarciagola, senza curarsi di metter da parte provviste per l'inverno; e oggi pretenderebbe di consumare le risorse accumulate dalle altre formichine. Dicerie infondate, visto che il costo-studente a Urbino è sotto la media nazionale. Visto che negli ultimi anni abbiamo ridotto tutte le spese e mantenuto un'offerta didattica ampia. Dicerie infamanti per chi, come me (e molti altri colleghi), da anni insegna, in più corsi, senza farsi retribuire le supplenze. E fa molte altre cose, gratis. Dirige un Laboratorio di studi (laPolis), che fattura come una piccola impresa, svolge corsi e ricerche in ambito internazionale, finanzia i propri docenti e manager. Per un Ateneo che, nonostante i chiari di luna e la crescente concorrenza, negli ultimi anni ha tenuto il livello degli iscritti. Che il Censis classifica unico non statale- al quinto posto nella sua graduatoria fra quelli di media dimensione, una trentina circa; mentre l'Isj Journal Citations Reports, lo pone al primo posto in Italia, come impact factor, relativamente alla ricerca.
Per questo, come molti altri, sono in attesa della risposta del ministro, alla nostra richiesta. Negativa o positiva: ma rapida. E chiara. Negativa o positiva: ma una risposta. Qualunque sia, ce ne faremo una ragione. Ma, per favore, non ci si chieda di cedere al ricatto fra necessità e dignità. Per quanto mi riguarda, almeno, non si speri di vedermi sfilare, cappello in mano. Ho troppo rispetto per questo Ateneo e per la sua città. E per il lavoro (pubblico, ci tengo a ribadirlo) che svolgo.
Non sono una cicala. Semmai un piccione viaggiatore.


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