Repubblica: I ragazzi della via Europa
Erasmus, internet e voli low cost: per i ventenni i confini non ci sono più
Michele Serra
Erasmus, internet e voli low cost: per i ventenni i confini non ci sono più
generazione "E"
Per i nonni degli italiani di oggi "Europa" voleva dire soprattutto emigrare, cercare fortuna al Nord
Poi sono arrivate le avventure estive autostop e ostello. Oggi il continente è a portata di mano
Dalla tv promana un senso di tinello pettegolo, ma i giovani sono cambiati
Inglesi, tedeschi, spagnoli: vestono allo stesso modo, sentono la stessa musica
MICHELE SERRA
Fino a un paio di generazioni fa "Europa", per la maggioranza dei ragazzi italiani, significava soprattutto emigrare, andare a cercare lavoro e fortuna più a Nord. Oppure era l´avventura di un´estate, autostop e sacco a pelo, ostelli della gioventù, treni dove viaggiare e spesso dormire come tanti piccoli hobos. C´erano i beatnik, i globe-trotter, il cosmopolitismo era ancora un azzardo per avanguardie studentesche, provate a ricordare che cosa si vedeva in televisione, di che cosa si parlava a scuola e nelle famiglie, e avrete memoria di un Paese provinciale, ancora stretto attorno alle conquiste della ricostruzione post-bellica, al sollievo del primo boom economico. Un Paese nel quale la conquista culturale di massa non era imparare l´inglese, ma riuscire a parlare l´italiano sbucando dalle strettezze del dialetto.
Quando pensiamo (e lo pensiamo troppo spesso) che tutto o quasi vada peggio, che tutto si sia complicato e deteriorato, proviamo a paragonare le occasioni della nostra lontana gioventù con quelle dei nostri figli. Oggi l´Europa è a portata di mano, a portata di sguardo e di esperienza grazie a una moltitudine di gemellaggi scolastici, stage, corsi di studio internazionali. Internet pullula di offerte, viaggi, scambi di case, vacanze di studio all´estero, associazioni di varia ispirazione che organizzano l´osmosi tra i popoli a partire dall´adolescenza. Non c´è liceo italiano che non esamini, ogni anno, decine di domande di studenti che vogliono fare il quarto o il quinto anno in un altro Paese, occasione irripetibile di imparare una lingua e confrontarsi con società differenti prima ancora dell´età universitaria, che un tempo era la porta d´accesso all´età adulta.
Non è vero che esiste solo un´Europa della moneta e delle banche. Esiste, in molti percorsi individuali, anche un´Europa delle giovani persone che se ne impratichiscono in carne e ossa, e imparano a considerarla casa loro dormendo nei letti di famiglie ospitali e disponibili, che aprono casa alla moltitudine di associazioni di scambio culturale. Ragazzi che studiano per un semestre, o anche un anno intero, seduti nei banchi stranieri, impadronendosi finalmente sul campo di quell´inglese appena premasticato guardando Mtv o studiandolo faticosamente a scuola.
La società italiana, anche da questo punto di vista, è parecchio più avanti delle sue istituzioni. Nei palinsesti Rai c´è molta meno Europa, meno Parigi, meno Londra, meno Berlino, meno Madrid, di quanta ce ne sia nelle aspirazioni e nei viaggi di milioni di italiani, specie i più giovani. Quel senso di tinello pettegolo che promana da tanta programmazione televisiva italiana confligge drammaticamente con l´immaginario dei ragazzi, che sanno che cosa sono le ramblas di Barcellona o perché ci sono andati o per sentito dire, ascoltano la stessa musica dei loro coetanei tedeschi o danesi o francesi, vestono allo stesso modo.
Dopo la televisione, è la scuola la principale ritardataria. Eroici professori organizzano tra mille ostacoli qualche viaggio scolastico all´estero, ma materie e programmi non sembrano tenere conto del rapido aprirsi di frontiere e culture a una contaminazione insieme culturale e antropologica, tanto che parlare di una "scuola europea", almeno qui in Italia, pare un azzardo avveniristico tanto quanto parlare di televisione europea. Le varie pigrizie nazionali non riescono a tenere il passo non dico di Internet, che trasforma in corrispondenti domestici individui che studiano, lavorano e dormono a migliaia di chilometri di distanza. Ma neppure il passo della circolazione delle persone fisiche, che trovano oramai naturale spostarsi in Europa da europei. Da abitanti e non più da viaggiatori.
Noi siamo nati in un mondo forse più rassicurante ma molto più rigido, dove le strade erano in gran parte segnate dal luogo di nascita e dal censo. I nostri figli sono figli di una irresistibile fluidità, che se da un lato li espone a una più faticosa costruzione identitaria, dall´altro, per costruirla, offre loro una quantità di materiali un tempo impensabili. All´aumento dei rischi (in buona parte dovuti anche all´ansia di genitori impreparati allo choc della commistione), corrisponde un aumento di opportunità che va senz´altro benedetto. Chi ha un figlio in partenza per un anno di liceo all´estero (oramai sono decine di migliaia di famiglie) o per una vacanza di studio all´estero (sono centinaia di migliaia di famiglie) conosce bene quell´ansia da ignoto, le domande apprensive su "come riuscirà a cavarsela". Ma sa altrettanto bene che quel figlio è fortunato, che lo spaesamento del viaggio di studio è un brivido che fa crescere, arricchisce, apre il cervello.
I ragazzi italiani un tempo andavano oltre frontiera con la valigia dell´emigrante o, peggio, con il fucile in mano, e le generazioni antiche (di tutta Europa) potevano dire di avere visto i Paesi stranieri soprattutto a seconda delle dichiarazioni di guerra dei loro governi. Oggi si parte con una carta di credito ricaricabile, i libri, qualche felpa, la certezza di un internet-point a pochi metri dal luogo di destinazione, con il quale corrispondere con gli amici e i familiari a casa.
Qualche cosa è cambiato, dunque. Molte cose sono cambiate. L´Europa, lentamente, faticosamente, non è più un insieme di frontiere e di vestigia di fronti militari. E´ un banco di scuola che ti aspetta, lenzuola dall´odore sconosciuto, nuovi cibi da metabolizzare, e una differenza sempre meno percepibile tra l´andata e il ritorno.