Repubblica: i burocrati e la lingua della scuola
Lo spirito della terza prova vorremmo fosse adottato dai funzionari del Ministero che predispongono verbali e procedure d´esame
MARCO VACCHETTI
Terza prova scritta: inglese, storia, latino, arte e scienze. Due domande per materia, dieci righe di risposta, due ore e mezza di tempo. Estraiamo a sorte tra i quesiti proposti. Fotocopie e via, si comincia. Gli studenti si chinano solerti sui fogli. La terza prova scritta è la più moderna, tagliata su misura classe per classe. Premia la sintesi e questo, in un Paese verboso come il nostro, non è male.
Ci confrontiamo tra colleghi. Lo spirito della terza prova vorremmo fosse adottato dai funzionari del Ministero che predispongono verbali e procedure d´esame. Sono anni che si predica uno snellimento burocratico e ogni volta ci ritroviamo impastoiati in adempimenti formali sempre più bizantini, spiegati con una retorica alla Cicerone, con periodi lussureggianti dove il linguaggio prolifera come un cancro inesorabile per successive metastasi. Un esempio? «Il Presidente invita i commissari ad avanzare proposte in numero almeno doppio rispetto alla tipologia o alle tipologie prescelte per la formulazione e la scelta del testo della terza prova sulla base di quanto deliberato nella seduta precedente con riferimento alla tipologia e alla struttura della prova, al numero e al tipo di discipline coinvolte, al numero di problemi, quesiti, argomenti, ecc.» (Tratto dal "Registro dei verbali della commissione esaminatrice", pag. 34) Chiaro, no?
Il burocratese è un´erbaccia infestante, testimone di uno Stato sempre più farraginoso e impotente. E dire che sarebbe così semplice... Italo Calvino, nelle sue Lezioni americane, formula sei «proposte» per il prossimo millennio: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza.