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Repubblica/Genova: Se i ragazzi svelano il profondo disagio di un´istituzione

non si può liquidare la protesta degli studenti come un episodio di maleducazione politica e civica, perché le sue ragioni sono le stesse che per settimane, mesi fa, hanno mobilitato tutto il paese contro i tagli all´istruzione

01/03/2009
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la Repubblica

Se i ragazzi svelano il profondo disagio di un´istituzione

VITTORIO COLETTI

LA VISTOSA protesta studentesca ha avuto il torto di disturbare una cerimonia in cui, per una volta, invitando il senatore Marino a discutere di bioetica, l´università aveva mostrato di voler rivitalizzare lo stanco rito dell´inaugurazione dell´anno accademico, affrontando tematiche di stretta attualità e grande dibattito pubblico, per di più con un uomo in prima linea per preparazione specifica e ruolo politico.
Tanto che, se una protesta sembrava da temere, questa era paventata dal versante dei sanfedisti del terzo millennio, decisi a impedire per legge che uno possa almeno morire decentemente. Invece è arrivata la vecchia "onda", con un´astuzia tattica che ha messo in difficoltà la polizia e un chiasso che ha intralciato il discorso del rettore.
Ma non per questo si può liquidare la protesta degli studenti come un episodio di maleducazione politica e civica, perché le sue ragioni (anche quelle forse sbagliate) sono le stesse che per settimane, mesi fa, hanno mobilitato tutto il paese contro i tagli all´istruzione. Nulla da allora è cambiato nella politica del governo verso l´università, tanto che è dovuto intervenire lo stesso Presidente della Repubblica a stigmatizzare i "tagli indiscriminati". Ma se non è cambiata la politica del governo, da allora, invece, qualcosa è cambiato nell´atteggiamento della classe dirigente dell´università italiana.

Ha cominciato ad arrendersi o a far buon viso al cattivo gioco di Tremonti e Gelmini, apprestando i pannicelli necessari a rendere il berlusconismo compatibile con la sopravvivenza dell´università. L´imbarazzante episodio dei prepensionamenti forzati è stato uno di questi tentativi fatti da una gestione delle università che ha presto rinunciato a battere la via della protesta politica e ha cercato, magari anche per apprezzabile senso del dovere, di adeguarsi ai concetti di "virtù" in voga nell´era berlusconiana, quando, come si sa, il costo del lavoro e le stesse persone che lavorano, massime se anche pensano, sono un "vizio", un peso che la collettività non può più permettersi.
Peraltro, quelli che hanno invaso l´aula magna sono vittime di stanchi automatismi da vecchia sinistra e si preoccupano di fantasmi come le fondazioni, nel timore di vedere entrare nelle università dei privati, che, data la assoluta non redditività di quelle pubbliche, non si faranno vedere neanche da lontano.
Nessun privato si interesserà dell´università, cui, semplicemente, non si interesserà più nessuno, come sta succedendo ai teatri lirici.
Ma, a parte le ineducazioni e gli ideologismi superati, questi ragazzi ci mettono sotto gli occhi il disagio di un´istituzione che perde ovunque il senso del servizio (l´università dovrebbe esserlo), flirta col linguaggio delle aziende, cerca di adeguarsi a uno spirito dei tempi che, invece, ne nega la legittimità per principio (non servono masse di cittadini colti e preparati, ma solo consumatori da acquisti a rate). L´Onda ha sbagliato a prendersela con l´operoso De Ferrari, che, al massimo, può avere la stessa colpa di un Baricco quando escogita un intelligente sistema per far convivere il disinteresse del governo per la cultura con la cultura stessa.
Col loro radicalismo anche eccessivo, gli studenti certificano però le insuperate contraddizioni del riformismo italiano, impegnato da anni, con tanta buona volontà e, ovviamente, nessun risultato, a far stare insieme il diavolo con l´acqua santa.


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