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Repubblica-Formidabili quei maestri dal libro Cuore ai tutor

A Bologna una mostra ripercorre duecento anni di storia della didattica in Italia, tra aneddoti della nostalgia e rivincita della burocrazia Formidabili quei maestri dal libro Cuore ai tutor...

27/09/2004
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la Repubblica

A Bologna una mostra ripercorre duecento anni di storia della didattica in Italia, tra aneddoti della nostalgia e rivincita della burocrazia
Formidabili quei maestri dal libro Cuore ai tutor
Come è cambiato il ruolo di chi plasma la nostra infanzia dietro una cattedra
CARLOTTA MISMETTI CAPUA


BOLOGNA - Il professore è una figura della nostra nostalgia, sta insieme al nostro passato, insieme alla prima campanella, al primo campeggio, alla prima fidanzatina, al primo concerto. E anche se non tutti hanno avuto la fortuna d'avere come maestri Mario Lodi o Gianni Rodari, Giorgio Caproni o Pier Paolo Pasolini (il primo insegnava alle elementari, il secondo alle medie) tutti ricordano i propri professori. Se si è dimenticato un nome, non si è scordata la cadenza con cui quello di latino ripeteva le declinazioni, o i tic della prof. di chimica, e il suo foulard, o la commozione di quello di lettere che di punto in bianco in mezzo ad una poesia di Montale si commosse, gettando nello sgomento la classe. La scuola è un campionario: c'era quello che ti mandava dal preside e quello che ti prendeva sotto braccio, c'era l'eccentrico e il depresso, l'impegnato e l'impiegato.
Anche quest'attaccamento sentimentale racconta la mostra che l'assessorato alla cultura dell'Emilia insieme con la Giannino Stoppani, hanno organizzato a Bologna, alla biblioteca Sala Borsa: la mostra si chiama "Da Cuore a Cuore: storie di maestri e professori", tutto l'autunno girerà l'Emilia, e poi magari altre regioni. La mostra presenta fotografie, storie di maestri, tante citazioni belle e sepolte scritte grandi (la più bella da "Zazi nel metro" di Queneau: "Da grande voglio fare la maestra" "Tra venti anni saranno sostituite dal cinema, dalla tivù, dall'elettronica, da cose del genere?" "Allora farò l'astronauta"). L'ultima sezione della mostra è dedicata al cinema, a come ha raccontato gli insegnanti: dall'asfissiante repressione di "Zero in Condotta" alla leggerezza travolgente de "L'attimo fuggente". C'è il maestro amaro e frustrato con la faccia di Sordi, imprigionato a Vigevano durante l'Italietta del boom, e c'è la maestrina tredicenne della provincia più povera della Cina di "Non uno di meno", Leone d'Oro a Venezia per Zhang Yimou. Inoltre c'è una libreria intera di libri di didattica e per ragazzi a disposizione dei visitatori, con la prima edizione di "Zanna bianca" a "Lo scolaro pallido" della Morante, più tanti titoli di due prestigiose collane, La Nuova Italia e Editori Riuniti, che hanno fatto la storia della pedagogia in questo paese.
È una scuola che c'era e non c'è più: ora a Torino si entra timbrando il cartellino e in corridoio a Bergamo hanno messo le telecamere, ora non ci sono le pagelle ma i moduli, e non ci sono le maestre ma i tutor. Ora l'obbligo scolastico si chiama ?diritto-dovere alla formazione'; anche se ci sono sempre più cancellini che computer nelle nostre classi, e sempre meno tempo pieno e sempre più studenti stranieri, e quasi nessun mediatore culturale. La mostra emiliana racconta tante scuole diverse e tanti maestri: ricorda i libri che si davano da leggere, Salgari negli anni Quaranta, "La guerra dei bottoni" negli anni Cinquanta, Renèe Reggiani negli anni Settanta, "Le avventure di Cipollino" negli anni Ottanta, Roald Dahl oggi, e poi Primo Levi sempre. Rievoca le scuole della letteratura, come quella Plumfield inventata in "Piccoli Uomini" da Louise Mary Alcott, e le scuole della storia, come quella di Don Milani a Barbiana. Poi racconta le maestre letterarie: come la Maria Maltoni di Calvino che faceva scrivere ai figli di contadini temi sulle bisce o sulle fragole; o la maestra DolceMiele, della super best-seller Dahl, che ha le guance calde e la voce piana. E ci sono i maestri letterati, come Tolstoj che nel 1849 aprì una scuola per i figli dei contadini, la Jasnaja Poljana, come Gianni Rodari che inventava storie nonsense per i suoi bambini e predicava: "Tutti gli usi della parola a tutti, e non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo".


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