Repubblica: Formazione Ma la ricerca è ancora un´impresa
È indubbio che nel quadro internazionale la quota di ricchezza destinata "al futuro"diviene di per sé un fattore determinante per la crescita della competitività internazionale
ROBERTO CIAMPICACIGLI
Molto si è dibattuto in questi anni sul tema della ricerca scientifica in Italia, a volte per esaltarne gli improvvisi (nel senso del non attesi) successi, più spesso per evocare scenari di forte criticità del presente e del futuro. Come spesso accade il sistema Italia riesce a proporsi nello scenario internazionale in un modo tutto suo nel quale coesistono elementi di reale fragilità con punte di rilevante eccellenza. Nel nostro paese la ricerca è prevalentemente "pubblica" e universitaria. Su gli oltre 160mila addetti al settore Ricerca e Sviluppo quasi 100mila appartengono al settore pubblico e di questi quasi il 60 per cento alle università. Il contributo del settore privato è di circa 60mila addetti.
Il sistema di imprese italiano è - come noto - costituito da piccole e medie imprese, con scarsa capacità finanziaria di investimento sul futuro e molta più attenzione alla gestione del quotidiano néè esteso - come in altri paesi europei - il processo di relazione con università o centri di trasferimento tecnologico attraverso soggetti quali consorzi, agenzie, etc. È quindi di tutta evidenza che il contributo del mondo della produzione continui ad essere scarso. Nel 2004 solo 17 imprese italiane erano presenti tra le prime 500 in Europa per ammontare di risorse investite in Ricerca&Sviluppo (contro le 150 dell´Inghilterra o le 100 della Germania). Un secondo aspetto di criticità è quello delle risorse destinate alla ricerca. In Italia si destina 1,16 per cento del Pil contro valori ben superiori al 2 per cento di Danimarca, Francia, Germania, Finlandia.
È indubbio che nel quadro internazionale la quota di ricchezza destinata "al futuro"diviene di per sé un fattore determinante per la crescita della competitività internazionale. Il problema ovviamente non è solo di tipo qualitativo, è un problema di cosa si finanzia, quali risultati ne derivano, in quali scenari ci si andrà a collocare. Come cartina tornasole della presenza e della competitività italiana nel mercato internazionale della ricerca possono però essere ricordati alcuni dati: a) 300mila articoli di ricercatori italiani pubblicati nelle più importanti riviste scientifiche nel mondo; b) quasi il 3 per cento di brevetti richiesti all´Ufficio Europeo dei brevetti nel settore farmaceutico; c) circa 1.600 partecipazioni di "unità universitarie" a progetti di ricerca finanziati a valere sul 6° Programma quadro.
In concreto una presenza non marginale nel mercato mondiale dei saperi, dalla quale partire per ridisegnare le strategie dei prossimi anni nei quali si prevede in India e Cina una crescita esponenziale di investimenti (secondo uno studio americano nel 2020 il 90 per cento degli scienziati lavorerà in Asia).Il sistema paese si trova davanti a scelte rilevanti sul piano delle strategie future: 1) accrescere la quota di ricchezza da destinare genericamente al settore della Ricerca&Sviluppo o più semplicemente decidere di puntare sui nostri punti di forza capaci di essere leader nel mondo, accontentandosi di un ruolo di non protagonista laddove le distanze dai paesi top siano ormai incolmabili; 2) orientare la bilancia dei saperi delle future generazioni aumentando l´attrattività di ricercatori e studenti stranieri (oggi siamo un paese esportatore di cervelli e studenti universitari);3) avvicinare, sulla base di modelli europei consolidati, il sistema delle piccole medie imprese al mercato della ricerca e dell´innovazione.
Si tratta di scelte non banali dalle quali dipenderà il posizionamento del sistema Italia nel quadro della competitività internazionale.
*(Direttore del Censis Servizi)