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Repubblica-Firenze-La rabbia senza speranza dell'esercito dei precari

L'ANALISI La rabbia senza speranza dell'esercito dei precari MARIA CRISTINA CARRATU' ...

02/09/2004
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la Repubblica

L'ANALISI
La rabbia senza speranza dell'esercito dei precari
MARIA CRISTINA CARRATU'


LI VEDI, loro che un tempo erano "il signor maestro", "il signor professore", e ti accorgi che il mondo può cambiare in modo crudele. Ammassati sotto il sole nel cortile del Csa, stipati dentro un'aula, pigiati su per una scala, in attesa di una nomina che non arriva, e quando arriva è già stata pagata troppo cara. Scarmigliati, rabbiosi, affrontati con i megafoni, tenuti a bada con le porte a vetri, l'aspetto dei lottatori per la vita, quello che un tempo era dei poveri-poveri, e oggi è anche il loro, intellettuali diseredati, senza più rango sociale. E' l'esercito dei precari, l'essenza stessa della incertezza in cui si dibatte la scuola in corso di trasformazione. Per i più ottimisti, un tipico esempio di "modernità" professionale: "Ma sì, come dice la mia mamma per consolarmi, oggi sono tutti precari, guarda i cococò?" sbotta Elisa, bottiglia d'acqua e ventaglio di giornale, in attesa da ore di una supplenza annuale di matematica nella palestra della media Rosai. "Ma una cosa è accettare nuovi modelli di lavoro, cercare diverse opportunità professionali, un'altra non avere mai una certezza che sia una". Bisognava "dinamizzare" un mestiere, che, per sua natura, non può sclerotizzarsi, si è finito per sospenderlo nel vuoto.
Su 120 mila posti vacanti in tutta Italia, quelli messi a ruolo sono stati quest'anno appena 15 mila, meno di quelli lasciati liberi dai pensionati. E in Toscana, solo il 20% delle cattedre disponibili è stato coperto da insegnanti di ruolo. L'80% è andato ai precari, ormai divenuti il 15-20% del corpo docente (con trend in crescita). "Eppure" fa notare Alessandro Pazzaglia, segretario regionale della Cgil scuola, "le persone con titoli e requisiti per diventare di ruolo, ce n'erano un sacco". E allora? Per il sindacato, tutto è chiaro: "I precari costano meno degli insegnanti stabilizzati, hanno meno diritti, si possono dirottare facilmente sulle attività facoltative, tanto care alla riforma Moratti". E se un domani si dovessero tagliare posti di lavoro, con loro sarebbe tutto molto più facile. Servono, insomma. E quindi si creano. "Se questo non è un disegno" dice Mara, 38 anni, da cinque ore in piedi su una scala dell'Istituto Salvemini in attesa di una nomina, "beh, è qualcosa che gli assomiglia molto".
Non è un effetto ottico: la stragrande maggioranza di aspiranti insegnanti, farà il supplente di lungo, anche lunghissimo corso. E le storie che si ascoltano non sono più soltanto quelle dei precari storici, i tanti 40-50enni confluiti nelle cosiddette "prime e seconde fasce", a tutt'oggi senza un posto fisso, ma anche quelle dei più giovani, che cominciano già senza speranza.
Storie non più solo di insegnanti, ma di uomini e donne "precari dentro", di una precarietà, cioè, che dal lavoro penetra nelle ossa, diventa modo di vivere. Forse, come dice Mario, 35 anni, "sissino" con moglie e due figli, anche più consapevoli: "Se oggi vuoi fare l'insegnante devi credere in una specie di missione, se no, non ce la fai". E i perché sono evidenti: "Sai che resterai supplente chissà quanto, forse per sempre". Nell'80%-90% dei casi, senza ferie retribuite. "Quindi, che non potrai mai investire davvero in quello che fai, tanto cambierai alunni di continuo". E non parliamo di stipendi: 1100, 1200 euro, poco più a fine carriera. Per chi è di ruolo, si intende. Per i supplenti, dipende dal tipo di supplenza. "Non ci compri libri, non ci vai al cinema, a teatro. Fai la spesa solo a discount, e le ferie, chissà". E quel che forse è peggio, perché non si vive di solo pane, è la perdita del ruolo sociale, della reputazione che un tempo sosteneva e inorgogliva la sempre povera, ma stimata, professione di insegnante. E oggi non più.
E nel clima di incertezza generale provocato dalla riforma, la precarietà rischia di diventare il vero cancro psicologico della scuola. "E' una specie di reazione a catena" avverte Giovanni Ferrini, insegnante oltre che segretario della Cisl scuola. "Il precariato induce frustrazione, che riduce lo spirito reattivo, alimenta un individualismo minimale e contribuisce all' appiattimento della vita sociale e politica, incoraggiando il ruolo già invadente dei media nella formazione". "Mi sembra chiaro" dice Leonardo, 43 anni, aspirante supplente di fisica, "a questa scuola servono solo istruttori, che insegnino a fare subito un lavoro. E per questo, i precari vanno benissimo. Anzi, meglio". Una società, insomma, in cui la cultura la fa la tv, "non c'è da stupirsi" dice Laura, 50 anni, precaria di inglese, "se dell'insegnante portatore di pensiero critico non sappia cosa farsene". Se ci tenesse, "non li tratterebbe così, impoverendoli, impedendogli di coltivarsi, e mettendoli l'uno contro l'altro", come accade ora con le graduatorie dei supplenti, e il tiro incrociato di insulti e ricorsi, una triste guerra fra "poveri". Chiamiamola pure "moderna", la condizione dei precari. "Ma perfino nelle fabbriche si è capito che l'insicurezza abbassa la qualità" dice Maria Grazia, 32 anni, in attesa di una supplenza di italiano. "Si può teorizzarla per la scuola? E se poi il cittadino, spaventato, sceglie la scuola privata, si può dargli torto?".


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