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Repubblica-Firenze-La Moratti veda la vita nella scuola-di Enzo MAzzi

QUESTA generale sollevazione contro la riforma Moratti è il segno di un livello culturale alto raggiunto dal mondo della scuola specialmente qui in Toscana. Ha ragione l'insegnante intervistata da M...

27/08/2004
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la Repubblica

QUESTA generale sollevazione contro la riforma Moratti è il segno di un livello culturale alto raggiunto dal mondo della scuola specialmente qui in Toscana. Ha ragione l'insegnante intervistata da Maria Cristina Carratù: tale maturità non piove dal cielo. Viene da un lungo processo di sperimentazione dal basso di nuove forme educative e didattiche basate sulla cultura della circolarità relazionale e della condivisione del sapere.
Mentre l'attuale riforma della scuola è tutta giocata sulla privatizzazione del sapere. Per il ministro Moratti non esiste un sapere condiviso. E' la vecchia storia della conoscenza e della verità come assoluti. E l'assoluto, come si sa già fin da Aristotele, non è condivisibile ma solo trasmissibile, travasabile. Un assoluto condiviso non è più "absolutus", sciolto dai condizionamenti delle relazioni. La condivisione sottopone la verità e la conoscenza alla creatività e ai limiti delle re-lazioni. Il sapere va liberato dal mito della condivisione. Chi possiede il sapere insegna, chi non sa impara. Questi sono i dogmatismi che stanno alla base dell'attuale riforma. Questi i messianismi che animano la restaurazione e in particolare la lotta contro il tempo pieno.
Il quale tempo pieno infatti è una delle innovazioni che ritengo fra le più significative e meglio riuscite nel panorama delle riforme della scuola. Fu il tentativo di "descolarizzare" l'insegnamento senza "distruggere" la scuola, anzi valorizzandola. Ebbe l'obbiettivo di rendere praticabile l'essenza stessa della pedagogia contemporanea.
Il tempo pieno, negli anni ?70, nasce per rispondere a bisogni molto concreti, ma poi l'impatto maggiore lo ebbero gli aspetti culturali e simbolici. Anche i genitori benestanti e perfino i benpensanti, che non mandavano i figli al doposcuola per non segnarli insieme ai figli del popolino col marchio della discriminazione, si rendono conto che il tempo pieno è una risposta efficiente capace di risolvere molti loro problemi pratici. Il tempo pieno contribuisce così ad accentuare la crisi delle scuole private che sulla discriminazione classista fondavano le loro fortune.
Il tempo pieno però non è solo efficienza e funzionalità. Sono appunto gli aspetti culturali e simbolici ad aver creato una classe di insegnanti che l'Europa ci invidia, ad aver prodotto una immersa riserva di esperienze pedagogiche d'avanguardia che hanno segnato le principali riforme della scuola e ad aver formato generazioni di giovani che ritengo abbiano avuto una rilevanza nel nascere degli attuali movimenti di socialità.
Prendiamo l'impatto creato dal passaggio dalla singolarità dell'insegnante alla coppia e alla équipe. Chi più ne fa le spese è l'ideologia del capo come figura centrale che genera la comunità e ne gestisce l'identità e l'unità; l'ideologia secondo la quale è il padre che fa la famiglia, il padrone che fa l'impresa, il leader che fa il partito, il premier che fa il governo, il prete che fa la chiesa e via di questo passo fino all'insegnante che fa la scuola.

E vediamo il senso di trasformazione culturale insito nelle classi aperte, nella introduzione di nuove tecniche didattiche non come "attività separate" dai curricoli ma come "valori educativi in sé" capaci di dare senso nuovo e vitale a tutta la didattica e a tutta la scuola, capaci di rispondere ai bisogni dei più svantaggati. E i nuovi orizzonti culturali aperti dai laboratori scelti dagli studenti in base ai loro interessi e propensioni. E la descolarizzazione dell'insegnamento resa possibile dalla apertura al territorio e alla società. E' la vita che torna a fare scuola. E la valenza culturale che ha il giro e l'intreccio di insegnanti i quali coordinano rigorosamente il loro lavoro, si confrontano e talvolta anche si scontrano, insegnano a porsi interrogativi e curiosità più che dare risposte, impostano metodologie di ricerca più che proporre/imporre i loro saperi, insegnanti che comunque si presentano agli studenti e ai genitori e al territorio come una comunità di operatori educativi tesi a socializzare il sapere, considerato non più bene di consumo preconfezionato e posto sul mercato ma oggetto di condivisione.
Una colossale rimozione profonda delle persone è il sacrificio richiesto dalla nuova religione delle cose. E i figli sono vittime sacrificali privilegiate.
Insomma il rapporto con le persone vive e in particolare con i bambini ci obbliga a interrogarci su noi stessi e sul tipo di società che stiamo costruendo. In questo senso i bambini affollano e animano anche la sponda opposta rispetto alla globalizzazione mercantile liberista e cioè la progettualità della speranza che nessuna restaurazione o "modernizzazione" di fatto riuscirà a spegnere. Ci saranno sempre insegnanti e studenti e genitori che riusciranno a far germogliare i semi di una scuola diversa dentro le crepe della restaurazione. Rischio la retorica? Penso che si possa concedere un po' di credito ad una non banale esperienza.


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