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Repubblica: Finita l´era delle lauree facili vince l´ateneo che seleziona

Dopo il proliferare di corsi e sedi ora si punta a studi più solidi e meno dispersivi

17/06/2009
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la Repubblica

Si sente spesso parlare di una università che era nata come università di élite e che non ha saputo trasformarsi in una università di massa: fino agli anni ‘50 arrivava allo studio universitario solo una minima parte dei giovani in età scolastica. Ci arrivava una fascia di giovani duramente selezionata sia da studi secondari abbastanza severi sia dal peso della agiatezza della propria famiglia; questi pochi si trovavano di fronte a programmi e sfide di studio di grande compattezza (pochi corsi di laurea e tutti rigidamente configurati) con docenti intimamente incardinati sulle materie insegnate e quindi particolarmente esigenti. Piccoli numeri e qualità complessiva medio-alta.
Dagli anni ‘60 comincia la tracimazione, la crescita della quantità non sempre invero accompagnata da proporzionale qualità. Arriva la liberalizzazione degli accessi, arriva con il ‘68 l´idea che l´Università fosse il regno del futuro, comincia la proliferazione di nuove discipline e relativi docenti, arriva la sensazione che tutto potesse esser facile e non selettivo, comincia la coazione delle famiglie ad aver un figlio all´Università come segno di una avvenuta cetomedizzazione borghese, arriva la tensione di città e provincia a chiedere ed ottenere sedi universitarie piene o distaccate, comincia ad esplodere il numero degli iscritti (e dei fuoricorso e dei drop-out), arriva la propensione ad "inventarsi" nuovi corsi di laurea preventivamente legati a temi di impatto "modernista", comincia una lunga marcia che porterà ai quasi 5.000 corsi di laurea (triennali e "magistrali") istituiti dopo la riforma Berlinguer-Moratti.
Non si può dire che dall´accavallarsi di questi processi sia nata una università di massa: certo l´università di élite non esiste più, ne rimangono vestigie in qualche nicchia del grande corpaccione; certo i numeri (delle sedi, degli iscritti, dei corsi) sono tanto alti da poter richiamare con facilità il termine "massa"; certo milioni di famiglie di italiani sono tutte contente di avere un figlio con laurea, magari triennale; certo la codificazione di nuove materie ha occupato spazi impensabili fino a qualche tempo fa; ma altrettanto è certo che abbiamo una università proliferante ma senza un disegno, una logica, una ipotesi di politica formativa; abbiamo un insieme indistinto e scontornato, naturalmente difficile da governare se non "correndo dietro" a eventi ed interessi fra i più disparati.
Ma quando una mano è troppo protesa verso spazi nuovi, ad un certo punto subentra il bisogno più o meno conscio di cominciare a ri-concentrare il sistema, a chiudere il pugno. Non c´è stata in merito nessuna mossa e neppure nessuna strategia politica, c´è stata una spontanea reazione del sistema, con processi che andranno seguiti con particolare attenzione: non c´è dubbio infatti che sta cominciando una chiara e spesso consistente riduzione del numero dei corsi di laurea; sta delineandosi una notevole stanchezza nella allegra invenzione di corsi di laurea con fantasioso contenuto ed improbabile sbocco lavorativo; che comincia ad arretrarsi la tumultuosa crescita di sedi universitarie a livelli sub-regionale e spesso subprovinciali; che tende a decrescere (finirà fra 3-4 anni) la coazione delle famiglie ad avere comunque un figlio laureato e la speranza delle stesse che una laurea apra comunque spazi più larghi di lavoro e di guadagno (con un conseguente prevedibile calo della propensione a affollare scuole e università ed anche master e seminari di varia natura); che si va delineando, dopo il trionfo generalista degli ultimi decenni, un ritorno alla specificità culturale e professionale, al primato della singola materia spietatamente approfondita.
Sono, come si può capire, dei sintomi più che dei fenomeni di superamento della mano aperta e di ritorno alla concentrazione del pugno. Ma si tratta comunque di germi di una più espansa trasformazione degli studi universitari: ci vorrà tempo perché si affermino e possano produrre effetto, ma conforta il pensiero che comunque il movimento di concentrazione è arrivato, ed anche se prenderà tempo è un processo irreversibile. Seguirlo, per capirlo e controllarlo, è lavoro che ci impegna tutti, al di là delle troppe parole senza numeri che hanno accompagnato, all´interno ed all´esterno, il faticoso andare dell´università in questi ultimi anni.

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