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Repubblica-È tutto personalizzato e formativo ma non si parla più di educazione

L'INTERVISTA Benedetto Vertecchi, pedagogista: non è corretta la scelta di privilegiare gli allievi ritenuti migliori "È tutto personalizzato e formativo ma non si parla più di educazione" ...

15/03/2004
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la Repubblica

L'INTERVISTA
Benedetto Vertecchi, pedagogista: non è corretta la scelta di privilegiare gli allievi ritenuti migliori
"È tutto personalizzato e formativo ma non si parla più di educazione"

le famiglie Scegliendo gli argomenti risentiranno delle mode
MARIO REGGIO

ROMA - "Un uso ossessivo della parola formazione e molto moderato del termine educazione. Si parla di personalizzazione dei programmi, in parole povere dare la priorità a chi sa di più e abbandonare a se stessi i più deboli. Il portfolio? Parole in libertà".
Il professor Benedetto Vertecchi, ordinario di Pedagogia Sperimentale a Roma Tre, boccia i nuovi programmi di elementari e medie previsti dalla riforma Moratti.
Cosa è la "personalizzazione dei percorsi educativi"?
"È uno dei metodi possibili per rispondere alle differenze individuali che esistono tra i bambini che arrivano alle elementari e poi passano alle medie. Ognuno di loro ha le sue caratteristiche, le proprie conoscenze. Una volta individuate si varia l'intervento didattico in base alle possibilità di apprendimento. È una scelta che assomiglia a quella inglese, illustrata nei giorni scorsi dal premier Tony Blair. Quelli più preparati vanno seguiti e incentivati a migliorare per raggiungere determinati obiettivi. Per quelli più scadenti vengono confezionati obiettivi adeguati alle loro scarse conoscenze. Tutto il contrario dell'individualizzazione dei percorsi formativi".
Cioè?
"Vuol dire variare l'intervento didattico in base alle esigenze di ciascun bambino, mantenendo fermi gli obiettivi finali. Cioè aiutare quelli che vengono da famiglie poco acculturate a recuperare il gap".
E la riforma?
"Sceglie la personalizzazione. Una scelta coerente con il doppio canale. Quelli accreditati di alti livelli vanno al liceo, per gli altri c'è sempre posto nella scuola professionale".
Lei parla di uso ossessivo del termine formazione.
"L'obiettivo è semplice: incidere sui comportamenti dei bambini più che sull'apprendimento intellettuale. Un concetto confermato dall'introduzione dell'educazione alla cittadinanza, ai sentimenti, l'educazione alimentare e stradale".
Si parla molto delle famiglie.
"Si dice che sceglieranno le tre ore di attività facoltativa. Ma quanto saranno influenzate dalla moda, dalle opinioni correnti? Prevedo un loro intervento caratterizzato molto dall'ideologia. Le famiglie più deboli delegheranno al tutor le scelte per i loro figli. Quelle più acculturate tenderanno a riproporre i modelli della loro scuola. Ma è quella che hanno frequentato, trenta o quaranta anni fa".
E l'alfabetizzazione?
"Un altro termine abusato nel decreto. Se ha una validità per la lettura, perché si impara a leggere e si continua più o meno con gli stessi schemi per tutta la vita, è fuori luogo per l'informatica. La tecnologia cambia molto velocemente e il linguaggio informatico non è come la lettura".
Si parla molto di portfolio.
"Un termine usato impropriamente. Faccio l'esempio della Francia dove esiste da tempo. Lì vengono usate scale di misurazione dell'apprendimento molto complesse, esistono apparati di ricerca e servizi consistenti alle spalle delle scuole, in ogni dipartimento scolastico. Qui dovrebbe essere il tutor, con il coinvolgimento delle famiglie, a riempire il portfolio. Sono parole in libertà


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