Repubblica-E LA CLASSE MEDIA ANDÒ ALL'INFERNO
E LA CLASSE MEDIA ANDÒ ALL'INFERNO FEDERICO RAMPINI BISOGNA leggere sul sito Internet di Repubblica le 1.700 testimonianze dei lettori sulla "vita quotidiana al tempo del caro-prezzi" per capi...
E LA CLASSE MEDIA ANDÒ ALL'INFERNO
FEDERICO RAMPINI
BISOGNA leggere sul sito Internet di Repubblica le 1.700 testimonianze dei lettori sulla "vita quotidiana al tempo del caro-prezzi" per capire quel che accade in Italia. La chiamiamo crisi perché ci mancano parole nuove per descrivere il disagio sociale che si rivela sotto i nostri occhi. Li definiamo nuovi poveri e il termine è inadeguato, ma traduciamo il fenomeno americano del Working Poor, la scoperta d'una questione sociale nel cuore d'una opulenta società postindustriale: quando di colpo un posto di lavoro normale non è più la garanzia contro l'insicurezza. Ilvo Diamanti li ha chiamati "i penultimi" per individuare un ceto medio scoraggiato che non riesce più a puntare verso l'alto della piramide sociale, ma si sente risucchiato verso chi ha meno.
Un ceto medio non povero in senso tradizionale, ma impoverito per la perdita della ricchezza più preziosa: la fiducia che i figli staranno meglio dei genitori.
Le polemiche sul costo della vita diventano un caso politico - unico in Europa - perché è in gioco molto di più della verità sui prezzi: la verità sullo stato della nazione. La diatriba sull'inflazione tocca nervi scoperti, libera una tensione che non riusciva a esprimersi. 1.700 interventi sul sito di Repubblica ci consegnano un'autoesame collettivo dell'Italia del 2004, minuzioso, pignolo: buste paga e spese per mutui, tasse, libri scolastici, vestiti e scarpe dei figli, nome e cognome, età, professione, città. Ci sono gli insegnanti e i dipendenti pubblici, le nuove professioni informatiche, i giovani al primo impiego e i pensionati. I sabati sera con gli scontrini per la pizza, la birra, la benzina, i biglietti del cinema. È un paese moderno e normale che si guarda senza piagnistei, ma sente di franare. Le sue impressioni sono confermate da uno studio esterno, non condizionato da polemiche locali, quello della banca svizzera Ubs sul potere d'acquisto reale degli europei: il ceto medio italiano è in fondo alla classifica, un ingegnere elettronico da noi riesce a comprare il 60% in meno del suo collega francese, una maestra elementare ha un tenore di consumi inferiore dell'88% alla sua collega tedesca. Queste due figure sociali dell'ingegnere e dell'insegnante, che un tempo misuravano il perimetro della nostra middle class, almeno per frustrazione oggi sono un po' più vicini ai 3 milioni di lavoratori italiani medio-bassi con un salario netto sotto gli 800 euro, agli altri 3 milioni che si situano fra 800 e mille: cioè i nostri Working Poor. La difficoltà di neolaureati, impiegati di banca, piccoli professionisti, si aggiunge allo shock della scoperta che gli autoferrotranvieri di Milano guadagnano 700 euro al mese.
Non sono tutti omologabili i 14 milioni di italiani che l'Eurispes infila dentro la categoria del "disagio sociale". Non è credibile un quadro pauperistico, l'Italia non sprofonda nel Terzo mondo. Tra gli interventi dei nostri lettori c'è chi espone i contrasti: i negozi continuano ad avere clienti, i ristoranti non sono vuoti, gli adolescenti hanno il telefonino. Tra le cifre discordanti su consumi e inflazione è possibile estrarre la verità.
Come ha spiegato Luciano Gallino la differenza fondamentale tra i dati Istat e quelli dell'Eurispes - all'origine di tutte le controversie politiche - è che i secondi tengono conto dell'andamento delle retribuzioni. Nel 2003 per la prima volta da vent'anni le retribuzioni sono aumentate meno dell'inflazione, una famiglia di 3 persone con due redditi medi da lavoro dipendente ha perso potere d'acquisto per 720 euro. La gravità dei rialzi dei prezzi si capisce in questo contesto: i redditi che ristagnano. Negozi e ristoranti non sono vuoti perché il primo riflesso per difendere il proprio tenore di vita è intaccare il risparmio. Negli ultimi 5 anni 9 italiani su 10 hanno diminuito i risparmi.
Solo integrando tutti i fattori che intervengono sul bilancio familiare si ottiene un quadro realistico. C'è dell'altro, oltre all'inflazione nascosta che aggrava la stagnazione dei redditi. C'è la lenta erosione del welfare state italiano, quel sistema di servizi pubblici e garanzie per la salute e la vecchiaia che accompagnava dalla culla alla tomba: le prestazioni dimagriscono, l'integrazione privata aumenta, fino ai casi estremi di mogli che devono rimanere a casa perché l'asilo nido privato costa più di quel che guadagnerebbero lavorando. C'è l'impatto del "terribile 2003" sul patrimonio degli italiani: dai bond argentini alla Cirio alla Parmalat, la figura sociale del risparmiatore truffato si fonde con quella del consumatore impoverito. C'è la pressione della globalizzazione, l'avvento di quella che la Century Foundation ha definito The New Ruthless Economy, la nuova economia spietata, che coglie l'Italia più impreparata e fragile. Con un capitalismo in declino, assediata dalla concorrenza di paesi a basso costo del lavoro, senza più la valvola illusoria delle svalutazioni o del debito pubblico, un'ampia fascia di italiani è stritolata fra la necessità dei datori di lavoro di ridurre i costi, e le rendite parassitarie dei settori non esposti alla concorrenza internazionale (come il commercio).
La novità più grave è la rottura, nel pensiero collettivo di una parte del ceto medio, di quel trend sociale ascensionale tra padri e figli che sembrava una costante. Fu uno dei tratti dominanti del ?900: nel passaggio dalle campagne alle città, dall'istruzione elementare alla laurea di massa, dalla catena di montaggio ai colletti bianchi, quel progresso generazionale era il collante del consenso, la molla motivazionale del risparmio dei genitori, il grande stabilizzatore sociale, interrotto solo da traumi come le guerre. È quel movimento ascensionale la ragione per cui una società come quella americana accetta diseguaglianze sociali enormi: in un paese ad elevato sviluppo economico e demografico il flusso ininterrotto di immigrazione che ingrandisce l'esercito dei poveri è anche il serbatoio umano della speranza che il futuro dei figli sarà migliore. È quella fiducia che invece il ceto medio italiano ha perduto, entrando in una dimensione senza sogni che Cristopher Lasch ha descritto come "l'èra delle aspettative decrescenti".
Nel 1962, mentre nasceva il termine "neocapitalismo" e mentre Kennedy lanciava l'avventura spaziale, Michael Harrington scosse gli Usa con l'inchiesta The Other America in cui rivelava per la prima volta il fenomeno dei nuovi poveri, descritti in termini che rimangono attuali: "Non sono i poveri del passato o del Terzo mondo, sono poveri qui e oggi relativamente a quel che il paese potrebbe offrire. Vivono su un nuovo confine, al margine dell'affluenza, leggono gli stessi magazine, guardano gli stessi film dell'America opulenta, e il messaggio che questi gli trasmettono è che loro sono gli esuli interni". Per l'America lo shock di quella scoperta coincise con la nascita delle prime rivolte dei consumatori. Poi con l'ambizioso progetto redistributivo della Great Society varato dai democratici. È l'esempio d'una frattura sociale a cui risposero dei movimenti collettivi, e un progetto politico nuovo.