Repubblica: E fra i giovani cresce la rivolta "Contro di noi troppi pregiudizi"
Nel Nord est si moltiplicano anche nelle scuole i casi di intolleranza a danno degli stranieri
FRANCESCO JORI
Di anni ne sono passati già nove. Ma per Maia, 19 anni, filippina, oggi operaia in una fabbrica del Vicentino, è come se fossero giorni. Perché se lo ricorda ancora nei dettagli, il suo calvario a scuola, quando a 10 anni di età era arrivata in Italia: «La prima settimana, benissimo, tutti gentili. Ma subito dopo è diventato un incubo: mi prendevano in giro, non riuscivo a inserirmi. Mi sentivo uno schifo, una deficiente, ero impaurita. Piangevo ogni giorno, così a un certo punto ho cambiato scuola». Non è stata meno dura per chi, pur figlio di immigrati, è nato in Italia. Ne sa qualcosa Emma, 16 anni, nigeriana, che vive a Rovigo e studia da ragioniera: «Nelle prime due classi delle elementari, tutto bene. Ma dalla terza in poi cominciavano a girare le solite battutine. E quando litigavo con un compagno c´era sempre qualcuno che mi diceva: negra!».
Due anagrafi diverse, una stessa esperienza: nel Veneto con 54mila ragazzi stranieri nelle scuole (erano 10mila appena sei anni fa) il malessere delle "seconde generazioni" è un sommerso con cui si comincia a fare i conti. Soprattutto perché si tratta di «una generazione sospesa, nel senso che non appartiene né a questo mondo né a quello di origine», fa presente Samira Chabib, mediatrice interculturale che lavora a Verona. E se questa è la lettura di un´immigrata, ancora più estrema è quella di un´italiana che con gli immigrati lavora da tempo, Maria Piovano, educatrice dell´Ulss di Treviso: «Questi ragazzi non sono "seconde generazioni", sono profughi. Non hanno scelto loro di andar via, sono stati portati via in un´età in cui il gruppo di appartenenza del loro quartiere è fondamentale. Sono stati sradicati completamente, e oggi si ritrovano a diventare dei "poveri deficienti" messi in un angolino perché non riescono a capire». Come è successo a tre ragazzi del Bangladesh tra i 15 e i 16 anni, in una terza media di un paesino del Vicentino. Racconta un operatore: «Se ne stavano seduti composti e silenziosi in prima fila. Erano arrivati da un mese, la scuola non aveva modo di curare il loro italiano. Così passavano le mattinate silenziosi, in classe, senza capire nulla. E´ questa l´integrazione che vogliamo?».
I primi a sottolineare la difficoltà sono i docenti. Spiega Annalia Pellegrini, maestra in una scuola elementare di Belluno e responsabile del Centro Territoriale di Integrazione: «Per la maggior parte degli insegnanti oggi avere un ragazzino straniero in aula è un problema, perché mette in discussione tutto l´assetto della classe». Ma non è un disagio limitato ai banchi. I ragazzi di seconda generazione che stanno per inserirsi nel mondo del lavoro hanno dovuto accantonare in fretta i sogni. Come Ernest, 23 anni, del Burkina Faso, che a Vicenza sta finendo l´istituto tecnico industriale: Volevo andare all´università e fare il medico, ma ho tanti fratelli e il papà deve occuparsi di tutti; penso che dovrò sacrificarmi per gli altri». Ed è dura perfino dentro le mura di casa, perché il salto tra generazioni è quasi sempre traumatico. Racconta Abdi, nigeriano che studia da perito informatico a Venezia, arrivato in Italia a 4 anni di età: «Mio padre non potrà mai considerarmi italiano. Il mio comportarmi da italiano da lui viene visto in modo strano, perché comunque per lui esiste il modo di vivere nigeriano; e il resto è stramberia, nel senso che non ti comporti come dovresti». Inquadra il problema Kinè, 17 anni, ragazza senegalese che vive a Vicenza: «Alle prime generazioni di immigrati interessava solo riuscire economicamente. Noi delle seconde abbiamo visto qualcosa di più, e questo comporta un maggior bisogno di integrarsi».
Che ne sarà della "generazione sospesa", se le verrà negato?