Repubblica-CONTI FUORI CONTROLLO MA NESSUNO LO AMMETTE
CONTI FUORI CONTROLLO MA NESSUNO LO AMMETTE La manovra di 6-8 miliardi annunciata per evitare l'early warning di Bruxelles appare insufficiente VINCENZO VISCO caro direttore, prima ...
CONTI FUORI CONTROLLO MA NESSUNO LO AMMETTE
La manovra di 6-8 miliardi annunciata per evitare l'early warning di Bruxelles appare insufficiente
VINCENZO VISCO
caro direttore, prima del prossimo 5 luglio il governo dovrà rendere nota la manovra correttiva che dovrebbe consentire all'Italia di evitare l'early warning della Commissione che darebbe inizio alla procedura per disavanzo eccessivo. L'entità della manovra necessaria è stata indicata più volte in 6-8 miliardi di euro, anche se in realtà tale cifra appare insufficiente.
Da tre anni ormai il governo insiste nel sostenere che le difficoltà dei conti pubblici italiani derivano dalla stagnazione dell'economia europea la cui responsabilità è stata di volta in volta attribuita all'euro, alla Commissione (Prodi), e più recentemente alla Bce. In un contesto così difficile - si sostiene - l'Italia ha fatto meglio di altri Paesi perché, grazie alla finanza creativa del ministro dell'Economia, ha evitato di superare il limite del 3%.
In verità del cose stanno diversamente, e la situazione reale si è fatta molto complicata. Può essere utile confrontare la situazione del 2001 con quella del 2003, periodo per il quale esistono i dati di consuntivo. Come si ricorderà, il 2001 è l'anno del "buco" e delle relative polemiche; l'anno sul quale l'Istat scaricò a più riprese aggiustamenti contabili che facevano emergere spese relative ad anni precedenti e di cui non aveva contezza, e dal quale l'Eurostat spostò contabilmente a periodi successivi alcune entrate da cartolarizzazioni. Si tratta quindi di un anno particolarmente favorevole per il governo a fini di confronto con quanto accaduto successivamente; un anno, infatti, in cui le spese risultavano contabilmente gonfiate rispetto alla realtà e le entrate contabilmente ridotte. Ebbene, confrontando il 2003 col 2001 si può notare come in soli due anni la spesa pubblica complessiva primaria (escludendo cioè gli interessi passivi), sia aumentata di ben 1,7 punti di Pil, di cui 1,5 punti riguardano la spesa corrente.
Si nota inoltre come l'incremento riguardi tutte le voci di spesa (retribuzioni, consumi intermedi, previdenza, sanità??) il che fa pensare ad una generale perdita di controllo del bilancio. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal governo, la spesa sanitaria (sempre che sia stata interamente e correttamente contabilizzata) appare responsabile per lo sfondamento di solo lo 0,1%.
Dal lato delle entrate, la pressione fiscale cresce (di 0,6 punti), ma solo in virtù dei condoni; al netto dei condoni, infatti le entrate ordinarie crollano di un punto, e quelle tributarie di 1,4 punti; i contributi sociali invece crescono di circa mezzo punto (in virtù della sanatoria per gli immigrati clandestini) compensando in parte l'andamento negativo. Si noti che la diminuzione del gettito non deriva dal primo modulo di riduzione dell'Irpef, in quanto questo è valutabile in 0,4 punti di Pil, 0,2 dei quali risultano recuperati dall'aumento della tassazione locale. Il peggioramento dei conti, sia dal lato delle entrate che delle spese, si accelera nell'ultimo anno (2003).
Da queste cifre si ricava che se il governo fosse stato in grado di mantenere spese ed entrate ai livelli del 2001, non vi sarebbe stato bisogno né di cartolarizzazioni, né di condoni per mantenere il disavanzo pubblico italiano sotto il 3% nel periodo considerato: sarebbe risultato infatti pari al 2,7% nel 2003, di cui mezzo punto attribuibile al ciclo economico. I dati quindi mostrano un rilevante peggioramento strutturale del bilancio malamente compensato da artifici contabili una tantum, swaps di fine d'anno, etc.
Ciò si manifesta in modo evidente nel crollo del saldo primario (sceso al 2,9 nel 2003 rispetto ad un impegno a mantenerlo intorno al 5% assunto in passato e destinato a scendere al 2,2% nel 2004); nella crescita del rapporto tra spese primarie e Pil (salito al 43,5%, livello più elevato registrato dal 1993); nella trasformazione di un surplus di parte corrente di un punto nel 2001, in un deficit di 0,2 punti nel 2003 (destinato a crescere nel 2004); nell'esplosione del fabbisogno che è l'indicatore più rilevante ai fini dell'accumulazione del debito.
E purtroppo nel 2004 la situazione appare in netto peggioramento, dal momento che l'obiettivo di un disavanzo appena inferiore al 3% è condizionato dallo stesso governo al realizzarsi di una serie di condizioni improbabili puntualmente elencate nella ultima relazione di cassa ed espressione di una evidente volontà di dissociazione di responsabilità da parte degli uffici. Una valutazione più realistica colloca il disavanzo 2004 a circa il 4% del Pil che, al netto delle entrate una tantum sale al 5%.
Siamo quindi in una situazione paradossale di generale sfondamento della spesa, in un contesto di altrettanto generale carenza di risorse in tutti i settori sensibili: un bel risultato, non c'è che dire! Stando così le cose, non è sorprendente che il Polo abbia perso le elezioni e che il ministro dell'Economia sia sotto tiro. Il problema vero per il futuro prossimo è se e come questa situazione possa essere recuperata e a quali costi. Si noti che ogni aumento di disavanzo e di debito equivale ad un incremento di imposte future, sicché si può tranquillamente affermare che il governo Berlusconi invece di ridurre le tasse le stia aumentando, anche se il relativo compito viene affidato ai governi futuri.
Si può comprendere come un governo e una maggioranza in netta difficoltà, tanto da essere costretti a vendere i ministeri e a prenderli in affitto, non già per ridurre i debiti, ma per finanziare spese correnti, abbia bisogno di un rilancio mediatico e prometta riduzioni ulteriori di imposte. Ma è anche evidente che le risorse per questa operazione non esistono, e che anche una eventuale, più robusta ripresa non permetterebbe neppure di recuperare, se non in minima parte, il peggioramento strutturale del bilancio pubblico. Sarebbe bene quindi, finché siamo ancora in tempo, di recuperare un minimo di consapevolezza e lucidità, anche in previsione dell'inevitabile aumento dei tassi di interesse (particolarmente bassi negli ultimi anni) e quindi del costo del debito pubblico.