Repubblica- che punto è la notte della Costituzione
A che punto è la notte della Costituzione ANDREA MANZELLA DIECI ANNI FA - si erano appena svolte le elezioni - don Giuseppe Dossetti capì dove si sarebbe arrivati. E il 15 aprile 19...
A che punto è la notte della Costituzione
ANDREA MANZELLA
DIECI ANNI FA - si erano appena svolte le elezioni - don Giuseppe Dossetti capì dove si sarebbe arrivati. E il 15 aprile 1994 scrisse una lettera al sindaco di Bologna, Vitali, per denunciare i pericoli di "una modificazione frettolosa e inconsulta del patto fondamentale del nostro popolo, nei suoi presupposti supremi". Da quella lettera sorsero i "comitati per la difesa della Costituzione".
Ma neppure don Dossetti poteva immaginare allora quel che oggi possiamo vedere. E cioè che l'attacco alla nostra Costituzione è solo una faccia di un attacco generalizzato al costituzionalismo, come necessità democratica di limitazioni al potere. E che, dunque, dopo la Costituzione italiana l'offensiva coinvolge anche l'ordinamento costituzionale europeo. Perché anche esso, in fondo, è portatore di "lacci e lacciuoli" alla concezione assolutistica del governo.
D'altra parte l'intreccio, in tutta l'Unione, tra costituzioni nazionali ed ordinamento europeo, è così stretto che liberarsi dell'una senza coinvolgere l'altro è divenuto impossibile. Questo intenso rapporto negli ultimi tempi si è rafforzato. La necessità sempre più pressante di Unione sembra invertire una vecchia tendenza: sono le elezioni nazionali che si europeizzano, come è avvenuto in Spagna. E non più le elezioni europee che si nazionalizzano. Uno scambio che è perfino sottolineato in significativi passaggi di personale politico da posizioni chiave nel governo dell'Unione a posizioni chiave nei governi nazionali: com'è avvenuto per il francese Barnier e per lo spagnolo Solbes.
In realtà, tutti hanno capito in Europa - dal Portogallo alla Polonia, dalla Finlandia a Malta - che lo stragismo dell'11 marzo non va solo fermato con misure di polizia. Che la necessità di usufruire di un quadro istituzionale unico, la Costituzione europea appunto, che eleva a sistema razionale e compiuto la paziente costruzione di cinquant'anni, è necessità che va affrontata senza più rinvii.
Costituzione, ora, significa innanzitutto cooperazione nella sicurezza e nelle informazioni ad essa relative. Cooperazione nell'attività giudiziaria. Concretizzazione di una difesa comune. Ma anche una politica esterna incentrata sul ministro degli esteri dell'Unione. E una politica economica incentrata su un altro ministro che si faccia carico di quella grande concorrenza tra sistemi economici nazionali verso fini comuni che si chiama "strategia di Lisbona".
I governi di Spagna e di Polonia sono stati travolti, perché i punti su cui si era bloccato a Bruxelles il negoziato per la Costituzione, erano Termopili di cartapesta. Di fronte alla prospettiva di una finis Europae, tutti hanno riguadagnato in fretta i tre capisaldi per cui di una Costituzione non si può più fare a meno. Si tratta del disegno unitario di istituzioni e competenze: quell'ordinamento che possa sopportare e assorbire al suo interno la inevitabile spinta delle differenziazioni fra Stati che procedono a diversa velocità di integrazione.
Si tratta del linguaggio comune di leggi e atti amministrativi: quel codice condiviso dei segni del diritto che consenta ad ogni europeo di comprendere i termini politici ed economici della sua condizione di cittadinanza. Si tratta della Carta dei diritti fondamentali degli europei: la loro carta di identità, quella per cui la persona umana è al centro di ogni politica dell'Unione. E questa può presentarsi davanti al resto del mondo come continente dei diritti. Come nella felliniana "Prova d'orchestra", la furia distruttrice a cui è stata sottoposta l'Europa, cambia l'ordine delle priorità, accelera le urgenze e fa emergere l'essenziale delle cose che si devono fare.
Tutti hanno capito. Meno chi governa in Italia. Dove in ogni situazione europea il peso del vincolo e l'accidia del rendiconto prevalgono sull'interesse nazionale a rioccupare la testa dell'Unione. Si vede nell'ordine economico: dove il patto di stabilità è considerato nella serie (tristemente famosa nel linguaggio di questo governo) dei "rompimenti". E quindi da valutare allegramente (assieme agli interessi del nostro debito pubblico) prima di pensare seriamente a concordare con gli altri europei una sua interpretazione adeguatrice. Si vede nell'ordine della cooperazione giudiziaria: dove per il mandato di cattura europeo, che figura al primo posto nelle misure antiterrorismo, arriviamo tra gli ultimissimi. Si vede nella politica per la pace e la lotta al terrorismo dove perdurano i danni della divisione artificiosamente introdotta nell'Unione dalla sventurata iniziativa Aznar-Berlusconi. Una divisione che ha impedito all'Unione europea di presentarsi come forza coerente, unitaria sulla scena internazionale, capace di svolgere una missione di equilibrio nell'interesse suo e degli stessi Stati Uniti.
Non meraviglia che tutto questo conduca all'aperto scetticismo espresso dal governo italiano sulla possibilità di arrivare al più presto al trattato costituzionale europeo. Uno scetticismo che diventa contrarietà sostanziale appena dissimulata dal paradossale invito rivolto dal governo alla sua maggioranza parlamentare a rifiutare ogni "compromesso al ribasso". Come se fosse questo nostro governo ad avere in mano, più di ogni altro governo europeo, il parametro su cui valutare i risultati del negoziato in corso (prima ancora che sia concluso). Come se questo governo, che ha condotto l'Italia alla condizione di "democrazia monitorata" e di "nazione in ritardo" potesse avere - esso solo - ragione rispetto agli altri 24 Stati "in torto". Come se un rifiuto solitario di Costituzione europea potesse avere una qualche ragione di interesse nazionale: dal momento che già sappiamo che la situazione di non-Costituzione è quella più favorevole alla nascita di direttori, dai quali questo governo è fatalmente escluso.
A ben vedere questa che si agita contro il costituzionalismo europeo è la stessa logica che l'attuale governo pone a sostegno della sua offensiva contro il costituzionalismo interno. Si sono cancellate le preliminari esigenze di riequilibrio e di messa in sicurezza del nostro sistema politico, sbandato dal cambio di legge elettorale. Su questo peccato capitale per omissione si è innestato il tentativo di devitalizzare completamente le garanzie preesistenti: presidente della Repubblica e Corte costituzionale. Accentuato così il dissesto del sistema, si pretende da un lato, l'accrescimento incontrollato dei poteri istituzionali del premier. Dall'altro, la triturazione dell'uguaglianza di cittadinanza quando più se ne ha bisogno (cioè quando si è ammalati, quando si va a scuola, quando vi è necessità di tutela da parte delle forze di polizia).
Insomma, Costituzione italiana, Costituzione europea appaiono come due impacci da cui liberarsi con lo stesso "facile pretesto non alla impossibilità ma alla incapacità di governare".
Don Giuseppe Dossetti condensava, dieci anni fa, i suoi timori e le sue speranze nella domanda di Isaia: "Sentinella, quanto resta della notte?". Purtroppo, in Italia, in Europa la notte è per noi assai fonda e non si vedono ancora spuntare le prime luci dell'alba.