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Repubblica-Che bella la Maturità all'antica

Dall'amicizia a Montale, dalla legalità al '900: nelle prove di italiano un ritorno ai temi classici Che bella la Maturità all'antica MICHELE SERRA ...

17/06/2004
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la Repubblica

Dall'amicizia a Montale, dalla legalità al '900: nelle prove di italiano un ritorno ai temi classici
Che bella la Maturità all'antica
MICHELE SERRA


I temi della maturità di quest'anno sono belli e difficili (difficili perché di notevole calibro culturale, belli per la stessa ragione), ma se fossi il ministro Moratti vorrei vederci più chiaro, e spedirei subito due o tre ispettori al Ministero?
Vorrei vederci più chiaro perché tra la scuola tecnologico-aziendalista ventilata dalla riforma Moratti (Internet, inglese, impresa) e l'impostazione olimpicamente classicista di tutti o quasi i temi proposti, c'è una totale incompatibilità


Diciamo pure incompatibilità di carattere. Tanto efficientista e produttivo è l'umore governativo, quanto malinconico e stoico è l'umore complessivo dei temi del 2004: sul tempo che passa, su Montale e dunque ancora sul tempo che passa, sull'amicizia che resiste al tempo che passa (vedi l'intenso brano di Guccini allegato tra i testi di documentazione). Per non dire della severità da catilinaria del tema sulla legalità, o dell'oziosa magnificenza filosofica di quello sulla "necessità di pensare".
Il solo sprint "modernista" è affidato al tema sulla nascente Costituzione Europea, e se vogliamo alla riflessione sul Novecento per l'occasione dissepolto dal suo greve sarcofago ideologico, e in un certo senso politicamente riabilitato ("i due volti del Novecento").
In poche parole, è come se tutti gli studenti italiani, di ogni ordine e grado, dovessero ottenere la maturità classica. Zero cenni alla tecnologia, neanche un rigo sull'economia, niente di niente che non sia di impostazione strettamente umanistica. Probabile che arrivi qualche critica sul sostanziale conservatorismo didattico del pacchetto di argomenti, che fanno leva, tutti, sulle conoscenze scolastiche, libresche e magari personali dei maturandi e solo su quelle, essendo da escludere che l'universo dei media (altro clamoroso escluso dai temi di quest'anno) offra qualche stimolo o qualche straccio di nozione su Cicerone, Montale, Verga o Braudel, sulle differenze tra tempo della natura e tempo della storia, men che meno sull'indispensabilità del pensiero filosofico.
È come se la scuola italiana (o perlomeno le autorevoli persone che hanno scelto i temi) avesse inteso difendersi dagli aspetti più corrivi e contaminanti della cultura di massa. O, per i più criticamente ostili all'arroccamento umanistico, è come se la scuola italiana snobbasse ostentatamente e aristocraticamente certi indirizzi e certe voglie del mondo esterno, della società e della politica. Il valore conferito alla cultura, per esempio, è nei temi di quest'anno implicito ovunque, e quasi polemicamente esplicito in quello sulla necessità della filosofia. E viene da chiedersi, per esempio, quanto i figli di certa società nordestina, e italiana in generale, condividano o anche solo afferrino lo spirito quasi polemico con il quale la scuola italiana, in fondo al percorso didattico, pianta un paletto così impegnativo.
Immaginiamo che il ministro Moratti fosse a conoscenza di questi temi. Saremmo curiosissimi di sapere se li ha del tutto condivisi, oppure in cuor suo (o esplicitamente) li abbia considerati nobilmente inutili alla causa della sua riforma. Uno sguardo pessimista potrebbe scorgere, in questa divaricazione tra le tre "i" morattian-berlusconiane e una maturità così pensosamente classicista, la schizofrenia di una scuola mezzo greco-latina e mezzo americaneggiante, lacerata tra certezze antiche e urgenza di innovazione. Ma uno sguardo ottimista vedrebbe in questo contrasto un elemento di vitalità critica, in fondo lo stesso di una società sospesa tra le sue radici secolari e pulsioni modernizzatrici non sempre armoniche con la "necessità di pensare".


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