Repubblica-Centocinquanta / la gallina canta
RICORDATE quell'antica filastrocca che cantammo tutti da bambini saltellando e tenendoci per mano? Ricordate i suoi "nonsense" dei quali allora non ci chiedevamo neppure se avessero un qualsiasi signi...
RICORDATE quell'antica filastrocca che cantammo tutti da bambini saltellando e tenendoci per mano? Ricordate i suoi "nonsense" dei quali allora non ci chiedevamo neppure se avessero un qualsiasi significato all'infuori della rima che li teneva insieme?
"Giro girotondo/gira tutto il mondo/centocinquanta/la gallina canta/lasciala cantare/si vuole maritare..." .
Non so se Nanni Moretti, quando ha fatto di quel vecchio passatempo infantile uno strumento di protesta politica, avesse in mente quei "couplets", ma qualunque cosa si pensi del girotondismo degli adulti sta di fatto che esso contiene in sé, nella sua gestualità e nella sua movenza collettiva, uno sberleffo che ha la stessa potenza distruttiva della pernacchia maggiore, la pernacchia del grande Eduardo.
Non si può abusare della pernacchia e neppure del girotondo come arma politica: la loro forza sta nella loro eccezionalità mentre la ripetitività ne spegne l'efficacia. Ma fino a quando susciteranno preoccupazione e rabbia in coloro contro i quali sono diretti o in coloro che se ne sentono insidiati ed esclusi, vuol dire che la loro potenza distruttiva perdura.
Uno degli effetti di questo nuovo segno di comunicazione sta nel fatto che il rapporto che si ha e si dichiara di avere con esso serve a definire la propria posizione in rapporto a molte altre cose. Negli ultimi tempi questo modo di autodefinirsi si è molto diffuso, quasi tutti gli uomini politici l'hanno usato e anche molti giornalisti, intellettuali, artisti; alcuni giornali si sono specializzati sul tema ponendosi come gli araldi dei girotondisti oppure come i loro più implacabili avversari.
La gamma delle posizioni è molto ampia. C'è chi vede nel popolo dei girotondi l'espressione più autentica della società civile, lo strumento salvifico destinato a unificare le persone di retto sentire nella denuncia d'un privilegio intollerabile, d'una sopraffazione iniqua. Sono i massimalisti del girotondismo che lo vivono come una sorta di partito germinale. È facile prevedere che ne saranno la rovina.
Ma poi ci sono infinite altre posizioni. Quella di chi ritiene utile il nuovo movimento e vi partecipa volentieri purché non si pretenda di farne un protagonista; quella di chi va a girotondare senza impegno, per puro di desiderio di socializzare, diciamo per riscoprire di tanto in tanto il piacere dell'insiemità. C'è chi sbeffeggia i girotondisti per un gusto competitivo tra due diversi generi di sberleffo: alcuni valorosi colleghi giornalisti si sono specializzati in questo esercizio che tra gli altri pregi ha anche quello di esimerli dal prender posizione sui temi di merito; coi tempi che corrono è un pregio tutt'altro che trascurabile.
C'è, naturalmente, chi apprezza i "morettiani" ma dichiara di non partecipare alle loro manifestazioni; chi ostenta di non essere informato sul tema poiché appartiene al genere di coloro in tutt'altre faccende affaccendati e chi, infine, reputa i girotondisti come persone molto pericolose per la democrazia e per le istituzioni.
Ciascuna di queste diverse posizioni corrisponde a una tipologia non solo politica ma anche psicologica. Potrebbe diventare un nuovo gioco quello di utilizzare il rapporto con i girotondi per classificare i personaggi della politica nelle varie possibili caselle: reazionari, conservatori, moderati, liberali, riformisti, estremisti. E anche nelle tre caselle supreme, quella degli intelligenti, quella degli imbecilli e quella degli ipocriti. Non mi pare un piccolo risultato.
***
A proposito di persone in tutt'altre faccende affaccendate il pensiero vola al nostro ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, che tra le altre sue qualità ha anche quella di non essere catalogabile in nessuna delle tre caselle supreme sopraindicate per il semplice fatto di possedere i requisiti appropriati per far parte contemporaneamente di tutte e tre. L'ultima conferma di questa sua polivalenza proviene dal decreto "tagliaspese" approvato dal governo l'altro giorno su sua proposta.
Il decreto ha già avuto un'ampia esegesi riscuotendo consensi sperticati a destra e fiere reprimende a sinistra, ma forse da una più attenta osservazione potrebbe emergere quella che a me sembra la sua caratteristica principale: d'essere un provvedimento privo di ogni reale efficacia ma redatto in modo da apparire come un'innovazione profonda della nostra costituzione economica. Mi spiego.
Il decreto si compone di due parti. Nella prima si stabilisce che le leggi che abbiano esaurito i fondi stanziati per la loro copertura dovranno tornare in Parlamento per ottenere un nuovo voto e un rinnovato finanziamento oppure decadranno. La seconda conferisce al ministro del Tesoro il potere di sospendere l'emissione dei mandati di pagamento della Tesoreria, previa decisione in proposito del Consiglio dei ministri e qualora fatti gravi e imprevisti dovessero suggerire minori flussi in uscita dalle casse dell'erario.
Bene. Finalmente un rigoroso rigore in una fase di semi-dissesto della pubblica finanza; così almeno appare prima facie la normativa approvata tre giorni fa. Ma non è vero, non è affatto vero. Quando il Parlamento approva una legge o il governo emette un decreto l'articolo 81 della Costituzione impone che sia indicata la copertura finanziaria delle spese che la legge comporta. A custodire l'applicazione di questa norma fondamentale provvedono vari passaggi istituzionali: il comitato parlamentare di Bilancio della Camera il cui parere è obbligatorio e preventivo; il presidente della Repubblica che può rinviare la legge alle Camere per mancanza di copertura; lo stesso Presidente addirittura nella fase di trasmissione del disegno di legge dal governo al Parlamento; la Ragioneria dello Stato che deve "bollinare" la legge già promulgata attestandone la congruità con i flussi di cassa disponibili; la Corte dei conti in fase di controllo "a posteriori" .
Come si vede i cani da guardia all'articolo 81 sono numerosi. Non bastano? Spesso non sono bastati. Per molti anni per esempio - e specialmente dalla fine dei Settanta ai primi Novanta - le leggi pluriennali riuscivano a sfuggire al rigore dell'articolo 81: il Parlamento votava la copertura solo per il primo anno lasciando gli anni successivi alla discrezionalità del governo che inseriva le spese ricorrenti nel calderone del disavanzo provvedendo al finanziamento con il debito pubblico. La montagna di debito ereditata da quell'infausto periodo si deve principalmente a questa elusione costituzionale. Negli anni Novanta nuove e più rigorose norme provvidero a turare la falla.
La situazione sembrava finalmente sotto controllo fino al maggio del 2001.
In quel mese, pochi giorni prima delle elezioni politiche, il presidente Ciampi inviò una lettera riservata al presidente del Consiglio, Giuliano Amato. In essa si raccomandava la maggiore oculatezza sui problemi della copertura.
Perché quella lettera alla vigilia del voto politico? Ciampi, come tutti noi, conosceva le previsioni elettorali. Volle attirare l'attenzione del governo - quello in carica e quello futuro quale che fosse - in un momento non sospettabile di parzialità e su un tema di particolare importanza dopo la nascita dell'euro e del patto europeo di stabilità.
Aveva ben ragione il presidente Ciampi a preoccuparsi del rispetto dell'articolo 81. La finanza creativa di Giulio Tremonti entrò infatti in funzione nel giugno successivo e introdusse elementi fortemente innovativi.
Per esempio quello di indicare come copertura di spese i maggiori incassi tributari che la legge in questione avrebbe prodotto. Tutte le leggi di incentivo - e sono state parecchie a cominciare dalla famosa Tremonti-bis, da quella sul sommerso, da quella sul credito d'imposta - sono state finanziate con questo metodo assai peregrino rispetto al dettato dell'articolo 81; ad esso le istituzioni di garanzia non potevano opporre eccezioni formali perché la forma era rispettata, la legge avrebbe autogenerato la propria copertura; nel frattempo, ma solo per breve periodo, si sarebbe fatto ricorso al debito.
Ecco uno dei motivi dello scostamento sempre più massiccio tra il fabbisogno di cassa e le previsioni di competenza. Fin quando l'economia ha tirato il problema non si è posto con l'urgenza di oggi. Ma oggi l'evidenza è scoppiata a causa degli errori e dei rischi di previsioni così avventate. La Tremonti-bis, tanto per dire, è senza copertura e così pure gli sgravi per nuove assunzioni e nuovi investimenti, dal che l'erogazione dei crediti d'imposta è stata bloccata creando una situazione insostenibile per le imprese che avevano già assunto nuovi dipendenti e già investito fidando negli sgravi decisi da leggi dello Stato.
Adesso il ministro del Tesoro dovrebbe fare ciò che non ha fatto a tempo debito: trovare l'effettiva copertura, cioè chiudere la stalla a buoi già scappati, oppure escogitare altre diavolerie del tipo di Infrastrutture Spa e svendita del patrimonio pubblico.
Per queste ragioni le pretese innovazioni del decreto di tre giorni fa sono semplicemente la presa d'atto d'un disastro consapevolmente prodotto ma annunciato da pochi "catastrofisti" disturbatori della pubblica quiete.
Quanto al blocco dei mandati di cassa si tratta d'una prassi più volte attuata in fasi di emergenze monetarie, non può durare più di tre o quattro mesi poiché alla lunga produrrebbe effetti di paralisi su tutta l'attività pubblica. La sola novità in questo caso sta nel fatto che quel provvedimento segnala il dissesto dei conti che il governo continua invece a negare contro ogni evidenza.
Qui sì che ci vorrebbe un bel girotondone-sberleffo. "Centocinquanta / la gallina canta...": eccome se canta, anzi strilla come i polli di Renzo che presentivano d'esser destinati alla pentola. Quei polli purtroppo siamo tutti noi, che non sappiamo più se ridere o piangere di fronte a tanta creatività.