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Repubblica-Caro Citati non sono d'accordo

Polemiche/ la riforma dell'università era necessaria , anche se i problemi non mancano Caro Citati non sono d'accordo La fragilità del nostro sistema universitario riflette i limiti antichi...

11/06/2004
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la Repubblica

Polemiche/ la riforma dell'università era necessaria , anche se i problemi non mancano
Caro Citati non sono d'accordo

La fragilità del nostro sistema universitario riflette i limiti antichi delle classi dirigenti
ALDO SCHIAVONE

L'Università è il luogo dove ogni paese custodisce, riproduce e accresce la sua intelligenza: memoria, creatività, senso critico; in una parola, il proprio profilo intellettuale e civile. In un mondo dove le conoscenze, i saperi, l'innovazione sono tutto, essa ha una funzione cruciale: è la fabbrica del nostro destino. Ma è - dovunque, dalla Francia, agli Stati Uniti, al Giappone - un'istituzione in crisi di identità: schiacciata da compiti molto diversi rispetto a quelli che aveva assolto per secoli. Bisogna fare attenzione quando se ne parla: è un argomento tremendamente serio.
L'Università italiana ha un passato che è insieme glorioso e duramente classista: tradizioni splendide - dalla filologia alla fisica - ma riservate solo a pochissimi: i figli del privilegio. E purtroppo i due elementi dell'incastro - quello virtuoso e quello discriminatorio - si tenevano insieme con mille legami: storici, strutturali, funzionali. Da quasi quarant'anni stiamo tentando di uscire in qualche modo dalla forbice, e di sciogliere il nodo: salvare la qualità, ma in un contesto nuovo - che va difeso - di grandi numeri e di accesso allargato.
Tutto questo a Pietro Citati - per quel che ne ha appena scritto su Repubblica - non interessa minimamente. Lo dico con sincero rammarico, perché oggi l'Università avrebbe più che mai bisogno che tutto il meglio della cultura italiana si stringesse intorno a lei. Ma a Citati non sembra importino le analisi, le valutazioni, la comprensione dei processi, la nuda oggettività delle cose. Lo ammette egli stesso, del resto, con disarmante candore. A lui sta a cuore solo fare della letteratura: raccoglie voci, interpreta a dismisura qualche stato d'animo, gioca con le ombre e le parole, affabula intorno a spezzoni di dicerie, brandelli di ricordi e di conversazioni. Irride, disprezza, fantastica: colonne dopo colonne, onde di qualunquismo visionario e micidiale.
A cosa vale replicargli che i provvedimenti di cui parla non bisogna scovarli in qualche polveroso e recondito armadio sospeso tra Kafka e Borges, ma sono semplicemente su Internet, alla portata dello sguardo di tutti? O che il cosiddetto 3+2 non è una perversa invenzione italiana, ma un modello che sta uniformando gli studi dell'intera Europa? O ancora, che l'idea di un anno comune per gli studenti iscritti a corsi della medesima classe può essere discutibile, ma non è certo una trovata balzana, perché si limita a riprendere una vecchia e sperimentata abitudine americana? E che professori impauriti e annoiati, intenti a preparare lettere di dimissioni, esistono unicamente nella sua fantasia, mentre a tutti è solo noto il caso di pochissimi colleghi che, alle soglie del pensionamento, si sono limitati a rinunciare alla possibilità, consentita dalla legge, di prolungare di un ultimo biennio il loro servizio?
Continuare sarebbe inutile: e servirebbe a poco. Ma c'è un aspetto, su cui non si può tacere. Ed è che la prosa di Citati umilia e offende innanzi ai suoi lettori quelle migliaia di professori italiani - fra cui moltissimi studiosi di grande talento e di primissimo piano - che in tutti questi anni hanno lottato e stanno lottando in silenzio e in prima linea, giorno dopo giorno, con la loro fatica, il loro senso di responsabilità, la loro passione, per dare un futuro alla nostra università, per attuare la riforma che è stata varata, e per salvare, con lei, l'avvenire del paese. E' per loro che sto scrivendo.
Certo, abbiamo di fronte problemi enormi. E abbiamo appena avviato un cammino pieno di rischi. La fragilità del nostro sistema universitario - squilibri strutturali, cronica scarsità di risorse, ritardi normativi - riflette fedelmente e impietosamente i limiti e le contraddizioni delle nostre classi dirigenti in almeno ottanta anni della loro storia. Siamo arrivati male e in ritardo a un cambiamento che negli altri grandi paesi dell'Occidente era stato lungamente preparato e digerito. La riforma che stiamo sperimentando non è né una panacea, né la migliore possibile, ma si muove nella giusta direzione: che è quella di costruire, all'interno di un sistema unitario, una pluralità di percorsi didattici distinti tra formazione superiore più direttamente professionalizzante, specializzazione e alta formazione. Adesso abbiamo bisogno di valutare, analizzare, correggere. Per riuscirci, dobbiamo tener vivo il senso delle nostre tradizioni, senza fare però un cattivo uso della memoria. I professori ordinari italiani sono rimasti per circa trent'anni stabilmente sotto il migliaio: in pratica si conoscevano tutti tra loro. Poi, nel trentennio successivo, sono diventati oltre quindicimila. Nello stesso tempo, gli studenti passavano dall'ordine delle diecine di migliaia a quello dei milioni. Sono le cifre del nuovo mondo che ci si è aperto dinanzi: ogni confronto con il passato ha senso solo se lo riportiamo a questi mutamenti: il resto è retorica.
Su un punto tuttavia Citati ha ragione: ed è quando si riferisce a una certa continuità nella politica universitaria degli ultimi governi (e a proposito: considero una gratuita violenza l'ingiurioso giudizio su Luigi Berlinguer; e posso dirlo con serenità, non avendo - lui ministro - mai varcato la soglia del suo ufficio). Solo che Citati dà di questa convergenza una rappresentazione grottesca, quando si tratta invece di una tendenza importante e positiva.
Non si può pensare di cambiare modello d'università a ogni cambiamento di maggioranza o di ministro: saremmo perduti, se si imboccasse questa strada. L'Università deve essere, per eccellenza, al centro di politiche condivise, almeno per quanto riguarda gli indirizzi di fondo. Dobbiamo tutti lavorare in questa direzione. E' difficile, ma si può fare: sarebbe bello, anche con l'aiuto di Citati.


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