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Repubblica-Cambiano gli studenti restano vizi e ritardi

Cambiano gli studenti restano vizi e ritardi Cresce la frequenza alle lezioni e negli stage Gran parte dei ragazzi non ha esperienze di lavoro MASSIMO LIVI BACCI Il VI Rapporto AlmaLa...

24/06/2004
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la Repubblica

Cambiano gli studenti restano vizi e ritardi

Cresce la frequenza alle lezioni e negli stage
Gran parte dei ragazzi non ha esperienze di lavoro
MASSIMO LIVI BACCI

Il VI Rapporto AlmaLaurea sui laureati del 2003 offre una fotografia ad alta risoluzione dell'ancien régime universitario assieme a qualche sprazzo di riflessione sul nuovo che inizia a sfornare i primi laureati triennali. La fotografia è storica, e ci serve a fare un esame di coscienza su ciò che abbiamo abbandonato, per iniziativa del centrosinistra e col sigillo finale del centrodestra. Che il sistema fosse gravemente ammalato, lo sapevano tutti; semmai resta il dubbio se, con adeguate riforme, esso sarebbe stato capace di recuperare efficienza e qualità senza decretarne la fine. D'altro canto le informazioni sul nuovo regime non consentono di capire se gli obbiettivi fondamentali della riforma potranno essere raggiunti; esse ci consentono però di ragionare sui possibili correttivi suggeriti dalla prima fase di sperimentazione.
Ma veniamo all'università che abbiamo cancellato e alla qualità dei suoi processi formativi. L'indagine comprende la maggioranza dei laureati nel 2003 e un gran numero di atenei, ed è quindi altamente rappresentativa ed attendibile. Il quadro generale ripropone i vizi ben noti del sistema, nel quale alcuni segnali positivi non hanno però alterato la cronicità dei problemi. Tra i tanti spicca il pesante ritardo nel compimento del ciclo di studio e l'elevata età alla laurea - rispettivamente 7 e 28 anni - e l'assenza di miglioramento negli ultimi anni. Naturalmente i meccanismi di questo ritardo sono complessi, ma resta il fatto che anche tra gli studenti che non hanno avuto alcuna esperienza lavorativa (più di un terzo del totale) e che avrebbero potuto dedicare la totalità del tempo allo studio, l'età media alla laurea è di ben 26,5 anni, con una durata della vita universitaria di 2-3 anni più lunga di quella teorica. E' soprattutto il cronico ritardo che ha segnato la condanna a morte del sistema. L'Italia è invecchiata non solo demograficamente - nel senso della crescente incidenza di chi ha più di 70, 80 o 90 anni - ma anche perché coloro che escono dal sistema formativo sono (relativamente) vecchi, con conoscenze che divengono più rapidamente obsolete e che è più arduo poi aggiornare e rinnovare. Anche il fatto che una parte così cospicua di studenti non abbia mai avuto, nemmeno occasionalmente, un'esperienza di lavoro prima della laurea - peraltro acquisita così tardi - è una carenza destinata a pesare negativamente nella transizione al lavoro. Negativo è anche il fatto che l'esperienza di studio all'estero abbia riguardato solo un laureato su cinque, e che abbia coinvolto appena un laureato su quattro nel gruppo linguistico. C'è da lamentare che i programmi Erasmus/Socrates non vengano rafforzati: in un paese che soffre di provincialismo pur aspirando ad essere "europeo", un'esperienza almeno semestrale all'estero dovrebbe essere la norma.
Un altro fenomeno noto, ma che appare rafforzato, è la crescente presenza delle donne tra i laureati, quasi il 60 per cento nel 2003. Possiamo certo rallegrarci che il traguardo della parità sia stato raggiunto e abbondantemente superato, e che per quanto riguarda la regolarità degli studi e le votazioni le donne risultino in (lieve) vantaggio sugli uomini. Ma la soddisfazione finisce qui, perché la persistente concentrazione delle donne tra i laureati nei gruppi disciplinari dell'insegnamento, linguistico e psicologico - nei quali rappresentano 80-90 per cento dei laureati - e la loro bassissima presenza in altri gruppi (ingegneria, per esempio) è sicuramente un fatto negativo. Ha senso una specializzazione formativa di genere così spinta? La quale, inoltre, si riflette in una maggiore attesa nel conseguire un lavoro, in minori aspettative e minori aspirazioni, in progressioni di carriera e salariali più lente? Quali sono le conseguenze di lungo periodo? Quali gli eventuali correttivi?
Tra gli aspetti negativi si può trovare anche qualche spunto positivo: per esempio, un lieve miglioramento nella proporzione dei laureati in corso (appena uno su sette); un aumento delle esperienze di stage e tirocinio dagli stessi laureati ritenute essenziali; un aumento della frequenza; un giudizio complessivamente buono (e migliore che in passato) rispetto all'esperienza conclusa. Ma di fronte ai reati principali del sistema - il ritardo e l'abbandono scolastico - questi aspetti fanno la figura, tutt'al più, di attenuanti generiche.
Infine, gli sprazzi informativi sui laureati del nuovo ordinamento. I 20000 laureati "triennali" del 2003 sono un insieme assai eterogeneo, sia per la disuguale partenza dei vari corsi nelle varie sedi, sia perché in larga parte costituiti da studenti transitati dal vecchio al nuovo ordinamento, spesso con carriere e situazioni particolari. Pur con le maggiori cautele, i confronti con i diplomati e con i laureati del vecchio regime fanno emergere alcuni spunti positivi - migliori performances dei triennali - ma anche altri preoccupanti, quali le meno frequenti esperienze all'estero, un'acuta specificità di genere nelle scelte disciplinari e l'elevata proporzione di studenti che desidera proseguire gli studi (oltre due su tre; addirittura sei su sette per chi si è laureato in corso). Se fosse dato seguito alle intenzioni, l'intera riforma crollerebbe sotto il proprio peso: master, bienni specialistici e altri corsi post-laurea si affollerebbero fino all'inverosimile e la durata degli studi resterebbe lunghissima. Una rivoluzione per nulla.


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