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Repubblica: Assolta la professoressa che punì lo studente bullo

Palermo, gli fece scrivere cento volte: "Sono un deficiente"

28/06/2007
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la Repubblica

FRANCESCO MERLO

È una sentenza esemplare che sarebbe addirittura perfetta se, chiudendo con l´assoluzione il processo alla professoressa, ne avesse aperto un altro a carico del padre del bullo, educatore diseducativo che ha dato, a nessun titolo se non le sue nari, della "cogliona" all´encomiabile insegnante che aveva punito suo figlio: insegnante di lettere, di umanesimo e di buone maniere.
È infatti il padre che andava e andrebbe processato, è lui il principale responsabile delle deficienze del figlio deficiente. Ed è facile immaginarlo a Palermo questo padre "masculu" che pretendeva un risarcimento di venticinquemila euro, un ovvio personaggio di quell´universo ridicolizzato da Brancati: « ‘A ttia ti dissi deficiente? A me figghiu? Dammi il quaderno ché rispondo io alla tua maestra». E scrisse: «Non solo mio figlio non è un deficiente, ma lei è una cogliona».
Attenzione però: non è Palermo che ha prodotto l´apparente eccezionalità del caso. In tutta Italia infatti le istanze familistiche – la difesa del figlio nostro, u figghiu miu, a creatura, il piccinin, er pischello, il toso – hanno ormai il sopravvento sulle prerogative istituzionali della scuola, sulla formazione del cittadino. Saggiamente infatti la sentenza di Palermo ricorda il terribile caso del ragazzo suicida a Torino perché trattato da omosessuale, maltrattato da un branco di deficienti che diventano, senza capirlo e senza volerlo, per ignoranza e per deficienza appunto, una banda di assassini, di istigatori al suicidio.
Dunque, secondo il giudice, e anche secondo noi, il giovanissimo bullo che, nelle mille varianti del dialetto palermitano, ha dato del frocio al suo compagno e gli ha impedito di entrare nel bagno dei maschi, andava proprio punito ed è stato un atto educativo per tutta la classe oltre che per lui, un addestramento alla responsabilità, l´averlo costretto a riflettere sulle sue deficienze etico-categoriali, scrivendo cento volte «sono un deficiente». E tuttavia almeno quel bullo ha le attenuanti dell´età immatura.
Non hanno invece attenuanti nella loro fosca responsabilità gli adulti: i genitori, innanzitutto, che si compiacciono del figlio "malandrino", e non capiscono che la scuola è un´opportunità formativa di gran lunga superiore a quella offerta dalla famiglia e dalla strada. Sono loro che, dinanzi alla punizione del figlio, reagiscono da superbulli fabbricatori di bulli. E invece dovrebbero arretrare, cedere il passo, consegnare il figlio all´insegnante.
Un tempo era riconosciuto il diritto alla punizione dello scolaro, si aveva fiducia nella qualità dell´insegnante, e anche gli aristocratici mandavano i figli a scuola con la convinzione di trovarvi un assemblaggio di strumenti, uomini e opportunità educativi e formativi che in casa, nonostante l´agio, non c´erano.
E la punizione di copiare cento volte una frase educativa sul quaderno scolastico si chiama "penso" ed è un´antica, cardinale istituzione della scuola, fatta non solo di bullismo, di parole in libertà, di gite, di baby parking, ma anche di compiti a casa, di interrogazioni, di rimproveri e di "penso". Ricordo di avere scritto per cento volte su un quaderno nero «non dirò mai più "piccolo babbeo" al mio compagno Gulizia». E ricordo anche che mio padre, convocato a scuola, si mise a dare fin troppo ragione all´insegnante, accusandomi più di quanto non avesse fatto il professore, il quale, a un certo punto, fu costretto a difendere me, il deficiente: «Non esageriamo, il ragazzo vale».
Qui, al contrario, in un processo che non si doveva proprio celebrare con quell´imputata, si volevano far passare per categorie nobili, forti e civili la schiuma della sozzura e i preconcetti sul sesso. E´ purtroppo vero che la responsabilità non è solo del padre che, comunque, andrebbe punito da un tribunale di Stato. C´è anche la responsabilità di altri adulti, parlamentari, uomini politici, altri professori, altri giudici e anche uomini di chiesa. Non solo il padre dunque, ma tutti quelli che nella diversità sessuale vedono crimini, depravazioni, abnormità e mostruosità naturali, vizi dell´anima, e magari anche l´assenza di Dio. Tanti in Italia dovrebbero scrivere, cento o mille volte, sul quaderno nero «sono un deficiente». E la parola giusta è proprio deficiente, che viene da deficio, indica un deficit, un buco di bilancio, un vuoto di testa, un conto in rosso, una vacanza di educazione sessuale e dunque di intelligenza della complessità della sessualità.
Ecco perché questa sentenza è un´assoluzione con l´encomio per avere commesso un fatto che non solo non è un delitto, ma è il suo contrario: è una buona azione, una di quelle rare e sorprendenti in questo parcheggio sfasciato che è la scuola italiana. Nelle sue otto pagine dattiloscritte il giudice di Palermo scrive anche che l´ordinamento italiano non prevede adeguate punizioni per quel bullismo che offende la sfera sessuale. Più propriamente, la scuola italiana di oggi non è attrezzata a liberare i figli dal familismo, dal mammismo, dai padri malandrini che esclamano offesi: «a mme figghiu!». Perciò forse la sentenza si può riassumere così: lasciate che la scuola difenda i figli dai loro genitori.


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