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Repubblica: Aspirando al sei meno meno

MARCO LODOLI

21/06/2009
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la Repubblica

C redo sia una costante nella vita in classe di tutti noi insegnanti di lettere: ogni volta che dettiamo le tracce del tema, invariabilmente si alza una voce dal fondo che dice: «Ma non ce sarebbe un´altra? queste non mi stimolano, non mi smuovono nessuna idea…». Magari abbiamo passato tutta la serata precedente a cercare tre spunti interessanti, legati al programma o all´attualità, a un testo letterario letto e commentato o a una questione vicina ai sommovimenti dell´adolescenza. Non c´è niente da fare, qualsiasi siano le tracce, ai ragazzi non piacciono mai. Probabilmente loro hanno poca voglia di entrare nel silenzio del pensiero, di stare per tre ore davanti a un foglio bianco, di cucire frasi e immagini, nozioni e impressioni, storie e opinioni. Sperano sempre che ci sia un argomento sul quale scrivere sia facile, immediato, spontaneo: ma questo magico argomento non esiste.
Scrivere è faticoso, bisogna trovare le parole che rendano chiaro e visibile ciò che spesso è confuso e invisibile, bisogna trasformare la distrazione in attenzione, il mondo in parole. È un´operazione complessa, ma che può dare molta felicità intellettuale, perché un tema fatto bene è il primo passo verso la consapevolezza. La forma è tutto, e in realtà non esiste un argomento dal quale non si possa ricavare il piacere di una costruzione perfetta.
Gli studenti italiani fin dalle scuole medie vengono costantemente sollecitati a scrivere su questioni sociali: l´immigrazione, la violenza, il disimpegno, il degrado delle periferie. Ricordo un mio alunno che mi raccontò di aver già scritto nella sua carriera scolastica una ventina di temi sulla droga tra i giovani. Non ne poteva più, ripeteva da anni la stessa solfa, come un disco incantato. Quasi quasi inizio a drogarmi, aveva detto ridendo. Il rischio è che questi temi politicamente corretti producano una scrittura astratta, generica, impersonale, che divengano la scimmiottatura di tanti articoli di fondo letti sbadatamente in classe. Si gonfiano di ragionamenti pappagalleschi, e le parole restano opache, slegate, senza luce.
Per sentirsi coinvolti in ciò che si scrive, invece, bisogna dedicarsi al tema come se fosse una piccola opera d´arte, qualcosa che fonde mirabilmente l´esperienza e la riflessione, la vista, l´udito, l´immaginazione e il pensiero. La scrittura permette tutto questo, è un telaio che può intrecciare mille fili, creando un percorso, uno sviluppo, un´immagine finale e complessiva. Purtroppo i ragazzi, ma non solo loro, sentono l´italiano scritto quasi come una lingua morta, quasi fosse latino o greco, una lingua che non gli corrisponde, alla quale si dedicano tentando di costruire periodi che restano farraginosi, metallici, stridenti. In qualche modo provano a ripetere quell´italiano paludato e senza colori che sentono in televisione, quando politici o esperti di chissà cosa si perdono in labirinti di frasi che non dicono niente. Non c´è mai una parola concreta, un racconto vero, una storia piccola ma importante da riferire.
Io li spingo a osare di più, a sentire la scrittura come una trasparenza che permette di vedere meglio il mondo, una finestra chiara in cui si iscrive un paesaggio fatto di mille cose diverse, eppure tutte perfettamente riunite dalla lingua. Sembra che abbiano imparato in fretta l´elusività di cui l´italiano è capace, quel blablà informe e buono per occupare una tribuna politica o tre facciate di un foglio protocollo. «Se devi scrivere del razzismo, racconta della zingara che hai incontrato sull´autobus, del nero che vende cd taroccati sotto casa, del ragazzo arabo che gioca con te nella squadra di pallone. Racconta quello che gli succede attorno, e quello che pensi quando la gente lo schifa. Parti da qualcosa di autentico, e poi vai avanti».
Non c´è niente da fare, non si fidano, preferiscono mantenersi su un piano generico, in un discorso di frasi fatte che tengono lontano il problema e annoiano da morire chi poi deve leggere e correggere. Insomma, la lingua dei temi resta una copia sbiadita della lingua degli adulti, imitata senza alcuna gioia. È una lingua che non si sbilancia, che non dice mai la verità, che cerca di non suonare, di non fare chiasso, di mantenersi vaga e inutile, che punta al sei meno meno.

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