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Repubblica: A scuola senza amore

Intervista/ Le tesi provocatorie di Edgar Morin sulla crisi dell´istruzione

04/04/2007
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la Repubblica

A SCUOLA SENZA AMORE

"Nelle nostre aule manca la passione, non c´è anima C´è un sapere frammentato che uccide ogni curiosità"
Il sociologo francese è a Roma, ospite del ministro Fioroni come consulente del suo progetto di riforma
"Gli adolescenti sono l´anello debole di una società che si sta disintegrando"
"Nessuno sa dire come affrontare l´incertezza in un´epoca globale"

LILLI

Roma
E la scuola? Ci giocheremo a dadi anche la scuola, vendendola al miglior offerente, magari russo o messicano? I quali, a pensarci bene, andrebbero assai meglio di candidati acquirenti, poniamo, francesi o statunitensi. Infatti, la crisi della scuola media superiore percorre tutto l´Occidente democratico e «progredito», è violenta nella stessa intensità in tutti i Paesi, anche se poi si declina in modi diversi a seconda di nazioni e culture. Con le dovute eccezioni, una burrasca così non s´era vista nemmeno nel ´68. E le ragioni sfuggono, la realtà d´ogni giorno è entrata in un clima assurdo e surreale da Arancia meccanica.
Ragazze islamiche immigrate in Francia s´intestardiscono a sedere tra i banchi velate, ragazzi americani vanno a scuola armati e ogni tanto compiono una bella carneficina, quindicenni (anche più giovani) italiani stuprano le compagne, o fanno minacciose interviste pornografiche alle insegnanti per poi diffondere il tutto su internet. Eccetera. E´ un disastro. Come arginarlo? O meglio, come trasmettere ai giovani quel tanto che sappiamo, come ottenere il loro rispetto, come inculcargli un senso di responsabilità e dignità individuale e - perché no? - un po´ di curiosità per i fatti del mondo di ieri e di oggi, per i teoremi matematici, per la poesia, e via dicendo? Come tornare a una scuola che sia un luogo dove si va per imparare?
«Con l´amore» risponde Edgar Morin, «e non è un´idea mia, sto solo citando Platone».
A 86 anni, Edgar Morin, parigino (il suo vero nome è Edgar Nahoum, ma probabilmente ormai l´ha dimenticato anche lui), è ancora oggi un protagonista della cultura francese, nelle cui istituzioni volta in volta occupa posti di rilievo e poi se ne stufa o ne viene escluso per la sua mancanza di convenzionalità. E´ infatti un sociologo «scomodo», noto per l´approccio interdisciplinare che lo ha portato a ignorare i confini ufficiali tra le varie discipline in tutti i suoi trenta e passa volumi, molti dei quali sono sulla riforma del sapere, della filosofia e dell´insegnamento. Naturalmente, non ha retto nemmeno nei ranghi del Partito comunista, da cui - dopo aver fatto la Resistenza - è uscito nel ´51.
Ieri Edgar Morin è stato a Roma per «assistere» il ministro Fioroni nel presentare un suo progetto di riforma. Lo abbiamo intervistato. Lo accompagnava Marco Ceruti, preside della facoltà di Filosofia all´università di Bergamo, e presidente della commissione che ha elaborato i nuovi programmi. Alto, asciutto, agile, maglione sotto la giacca senza cravatta, Edgar Morin porta molto bene la sua figura di «grande vecchio». Il tavolino a cui siamo seduti, in un piccolo e prestigioso albergo del centro, gli sta chiaramente stretto. Siede di sbieco, accavallando le gambe troppo lunghe.
Sorride. «Lo so che il gioco è duro», sembra dire, «ma per come sono messe le cose, è l´unico gioco a nostra disposizione».
L´amore poteva essere possibile all´epoca di Platone. Ma oggi c´è la scuola di massa, che pone nuovi problemi. Migliaia di professori possono amare milioni di studenti?
«Certo. Se c´è la passione, questa si può trasmettere a dieci bambini o a quaranta. Insegnare è una missione. Una missione laica. Come anche altri mestieri, che so, l´infermiere, il medico, l´avvocato».
L´avvocato!?
«Perché no? L´avvocato deve aiutare gli altri a ottenere giustizia. Aiutare. Sono mestieri in cui si aiutano gli altri».
Torniamo alla scuola?
«La scuola da sola non basta. Il problema è multidimensionale. C´è un momento, tra l´infanzia e l´età adulta, in cui l´adolescente trasgredisce. E´ stato così ai miei tempi, con la Resistenza, e poi col maggio Sessantotto».
Il Sessantotto è un´altra storia. Aveva le sue ragioni, e anche valide. Lo scrisse anche lei, su Le Monde.
«Certo, la trasgressione oggi è molto più grave, specie in situazioni particolari, con famiglie disintegrate, genitori separati o disoccupati o magari che fanno uso di sonniferi o vanno dallo psicoanalista. Per i giovani non ci sono certezze sul futuro. Davanti a loro c´è la disoccupazione, e nessuno - meno che mai la scuola - risponde alle loro domande: "perché sono al mondo? Chi sono? Dove vado?". Sembra che la violenza venga dalla scuola, ma in realtà è la scuola che la aggrava».
Addirittura!
«Ma sì. Non porta luce, non insegna come affrontare l´incertezza, non dice che viviamo in un´epoca globale. La scuola offre solo una frammentazione del sapere e uccide la curiosità. Le faccio un esempio. Tempo fa, in Francia, andava di moda la semiotica. I professori di letteratura non facevano più leggere i testi, Racine, Voltaire, o che altro, come in passato: prendevano certe pagine e le analizzavano semiologicamente. Risultato: i giovani, che prima amavano leggere, dopo questa "cura", non volevano leggere più. La scuola è priva di anima. L´Emile di Rousseau dice: voglio imparare a vivere».
La scuola non ha mai insegnato a vivere. Specie nei paesi latini. Ha insegnato il sapere dell´epoca, e un metodo. D´altronde, insegnare a vivere non è certo facile, specie ai giorni nostri.
«Ha ragione: stiamo vivendo una crisi epocale, la società si sta disintegrando. E nei momenti di crisi, gli adolescenti sono l´anello debole della società, quello dove la crisi si avverte prima. La Resistenza e il Sessantotto sono due esempi molto pertinenti. In entrambe le situazioni c´era la crisi, e gli adolescenti, i giovani l´hanno avvertita e hanno reagito. Oggi la situazione è più difficile, c´è una generale mancanza di senso, e dunque quella degli adolescenti è una crisi nella crisi. La crisi della società occidentale non era mai stata così acuta. Le faccio un altro esempio. Dove la società è coesa, anche in modo non ortodosso, le cose vanno meglio. Una volta feci una inchiesta parallela su un quartiere "difficile" in Francia e in una "favela" brasiliana dominata dalla malavita. Ci crede? La delinquenza era molto minore nella favela. Lì c´erano dei valori distorti, ma c´erano, e tenevano insieme le cose».
Forse la nostra società non ha più niente da dire.
«E´ probabile. Ha detto e fatto cose meravigliose (anche cose orribili), ma oggi è svuotata, sembra le resti solo la decadenza. E allora, cosa vuole aspettarsi dai giovani? Soprattutto, non bisogna rispondere con la repressione. In Francia, Sarkozy dice che se sarà eletto considererà "adulti" (cioè legalmente punibili) i giovani a partire dai sedici anni. Sarebbe la cosa peggiore. La galera è una scuola di malavita. Bisogna dar ai giovani il tempo di cambiare. Cambiano perfino gli adulti. Perfino gli assassini di Moro si sono pentiti. E vuole che non cambino dei ragazzi?».
Ma se lei non vede altro che decadenza nel nostro futuro...
«E´ una delle possibilità, ma non l´unica. Siamo a un bivio. Pensiamo al Rinascimento: esso si basa sulla riscoperta umanistica dei Greci. Oggi noi potremmo prendere molto da India e Cina, e poi dall´Africa e dall´America. Per questo dico che la scuola deve essere globale, deve insegnare l´esistenza e la storia di tutti. Adatta a chi è nato a Torino, a Palermo, e anche a Kabul».
Dunque, in concreto, lei è contrario a una scuola affidata alle Regioni? Lei parla di Kabul, ma pensi alle difficoltà che esistono già all´interno dell´Europa: Napoleone studiato in Francia è l´Imperatore, ma studiato in Inghilterra è un grave elemento di squilibrio europeo. Attila studiato in Italia è il flagello di Dio, studiato in Germania è un eroe...
«Si capisce che insieme a una storia globale ci vogliono anche le storie locali. Ma bisogna metter anima in quel che la scuola offre. I giovani sono uguali in tutto il mondo: sono giovani esseri umani, fatti di psicologia, di biologia, di curiosità intellettuale. Vogliono conoscere il mistero della vita, l´intimità psicologica che può dare loro la poesia o la letteratura, la filosofia».
E la scienza?
«Sì, ne hanno bisogno ma la scienza è già molto prepotente, non si lascia mettere da parte. Per questo dico che, con una coscienza globale, è possibile anche una rinascita dell´Occidente. Voglio chiudere con la metafora di una farfalla. E´ bella la farfalla, ma prima di diventarlo è un verme. Poi è una crisalide (i giovani), e infine la farfalla adulta nasce dalla trasformazione - che è anche una catastrofe - della crisalide. Io non so come andrà a finire, ma potrebbe capitare anche a noi, se l´Occidente saprà essere saggio».


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