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Repubblica-A SCUOLA DI DISASTRO -Intervista a Luigi Pedrazzi

A SCUOLA DI DISASTRO Perché il "bonus" voluto dalla Moratti non convince/ Intervista a Luigi Pedrazzi Una scelta contraria alla nostra Costituzione che prevede di sostenere i capaci e me...

08/09/2003
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la Repubblica

A SCUOLA DI DISASTRO
Perché il "bonus" voluto dalla Moratti non convince/ Intervista a Luigi Pedrazzi

Una scelta contraria alla nostra Costituzione che prevede di sostenere i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi
Una riforma che porta risultati deludenti Crescita dei costi senza nessun effettivo sviluppo dell'istruzione
BOLOGNA
NELLO AJELLO

"Sono fermamente contrario al "bonus" accordato dal ministro della Pubblica Istruzione alle famiglie che vogliono iscrivere i loro ragazzi agli istituti privati", esordisce Luigi Pedrazzi, uno dei fondatori della rivista Il Mulino, autorevole esperto di scuola. Lo conosco da molti anni, e di rado l'avevo visto così infervorato. Cattolico liberale, molto vicino a suo tempo a Giuseppe Dossetti, egli non riesce a condividere alcun aspetto del recente provvedimento. Lo considera inutile, raffazzonato, improvvido. Ne rileva l'inconciliabilità con la nostra Costituzione. Ne contesta l'efficacia anche per i suoi supposti beneficiari.
"Quali sono i nuclei domestici che il ministro intenderebbe premiare?", si chiede Pedrazzi. "Coloro che se lo possono permettere già provvedono ad assicurare ai propri figli varie forme suppletive di istruzione, dal computer di casa ai viaggi all'estero, ai corsi in collegi stranieri per imparare le lingue. Trovo mostruoso che a simili famiglie abbienti venga versato un obolo del quale non hanno bisogno, e che lo stesso obolo, di eguale entità, si conceda a quelle che lamentano vere necessità di bilancio. La nostra Costituzione, semmai, contempla l'esigenza di sostenere i "capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi", consentendogli di accedere agli studi superiori. Nessun criterio di merito, nessuna indagine personalizzata sul singolo studente mi pare sia alla base del decreto Moratti".
Secondo il ministro, gli obietto, uno dei princìpi ispiratori del provvedimento è la competitività fra pubblico e privato. "Parlando in generale, la scuola avrebbe bisogno di incentivi in direzione della qualità. Ma non attraverso interventi così scopertamente mercantili. E' irreale, inoltre, supporre nelle famiglie la volontà di migliorare le istituzioni educative. L'insegnamento migliora se coloro che lo impartiscono hanno l'intenzione e la capacità collaudata di migliorarlo. Agli sforzi dei presidi e degli insegnanti lo Stato deve contribuire finanziando nella misura maggiore possibile le scuole. Non deve farlo offrendo bonus".
Tanto varrebbe, aderendo per un istante all'ottica che prevale nell'attuale governo, finanziare direttamente le scuole private... "A questo, lo sai, si oppone la nostra Carta costituzionale. Gli si oppone in maniera drastica, ineludibile. La clausola "senza oneri per lo Stato" vieta di elargire contributi alle scuole non pubbliche. Un modo altrettanto perentorio per risolvere la questione ci sarebbe, dunque: cambiare la Costituzione, a patto di averne il coraggio e la forza. Ma, appunto, si preferisce inventare il bonus per aggirare la questione. Almeno qui in Italia".
E altrove? I difensori del decreto adducono esempi stranieri. "In alcuni Stati americani, California ed altri, il bonus è stato infatti adottato, in base all'ideologia liberista e mercantile che vi predomina".
Con quali risultati? "Assai deludenti. Ne è derivata una crescita dei costi complessivi dell'istruzione senza un generale miglioramento del livello educativo".
Per un cattolico, non è positivo il fatto che lo Stato collabori al suo sforzo di dare ai figli un'istruzione di sicura garanzia religiosa? "In primo luogo, c'è da tener presente la modestia del contributo. Due o trecentomila delle vecchie lire, in confronto con vari milioni - a tanto ammonta la retta annua di una scuola privata - è quasi nulla. Ma siamo poi sicuri che ad orientare una famiglia verso la scuola privata prevalgano motivi di carattere religioso o confessionale?". E quali altri, se no? "Io penso che le spinte principali siano due. In primo luogo, la fiducia che i ragazzi vengano curati con maggior attenzione, possano vivere la loro esperienza di apprendimento in maniera più gradevole, senza quelle disfunzioni (ritardi, lentezze, supplenze protratte, agitazioni e così via) che sono pressoché fisiologiche negli organismi pubblici. C'è poi un altro movente, spesso decisivo: la convinzione che il ragazzo potrà concludere gli studi con maggiore facilità, anche se gli manca un'adeguata preparazione. Ci terrei comunque a chiarire che fra le scuole "facili" di rado figurano quelle religiose, le quali presentano in molti casi un'eccellente tradizione di qualità".
Ci chiediamo, con Pedrazzi, da quali pulsioni misteriose nasca questo disastro chiamato "bonus". Secondo lui, è un conglomerato di varie volontà e velleità. "L'intenzione di mostrarsi moderni vi si intreccia con il proposito di esibire attenzione al mondo cattolico. Dando per scontato che esso non sia in grado di fare i conti. La Chiesa, invece, sa benissimo che per esempio nei paesi dell'Europa del Nord - in Svezia come in Danimarca - i contributi agli istituti non statali sono ben altrimenti cospicui: arrivano a volte a coprire il 70 o l'80 di ciò che allo Stato costa ciascun alunno. Ma sono sovvenzioni, ripeto, erogate alle scuole, non alle famiglie. E possono venire cancellate se gli istituti beneficiari, che sono in genere pochi, vengono meno ad un patto di qualità ed efficienza convenuto con lo Stato. La sovvenzione, insomma, è subordinata a un attento esame di chi ne gode. Spesso si tratta di istituti creati dalle minoranze etnico-culturali, nell'ambito di un'accoglienza responsabile degli stranieri immigrati. Ecco cosa significa saper spendere bene i soldi pubblici. Altrimenti è tutta una finzione".
Ma qual è, da noi, l'incidenza degli istituti privati sul totale della scuola? "Esigua. Le "private" accolgono il cinque o sei per cento della popolazione delle scuole secondarie. Nell'immediato dopoguerra la percentuale oscillava fra il 15 e il 22. Gli istituti non statali sono diminuiti perché l'apertura di scuole pubbliche dovunque, in provincia, ha prosciugato il flusso di studenti fra i piccoli centri e i capoluoghi nei quali l'organizzazione ecclesiastica disponeva di efficaci strutture di accoglienza (convitti, e simili). Lo Stato, intendiamoci, ha fatto benissimo ad aprire tante scuole".
Mi nasce un pensiero. Non è paradossale che la diffusione capillare della scuola pubblica e la riduzione di quella privata siano avvenute proprio durante i decenni di egemonia della Democrazia Cristiana? "Il paradosso è solo apparente", mi corregge Pedrazzi. "E' vero che l'inserimento nella nostra Costituzione della clausola "senza onere per lo Stato" - che passò su proposta del liberale Epicarmo Corbino - segnò per la Chiesa la chiusura di una strada ad essa favorevole. Ma, a fronte di questo, la Democrazia Cristiana preferì gestire la scuola statale, trovando così una sorta di compenso: noi diamo soddisfazione al vostro principio laico di non finanziare l'istruzione confessionale, ma a nostra volta ci riserviamo - legittimamente, in quanto maggioranza - la facoltà di governare tutta la scuola. Non a caso, per quarant'anni, i ministri della Pubblica Istruzione sono stati tutti democristiani".
Scuola e religione. L'equiparazione degli insegnanti di questa materia ai loro colleghi delle diverse discipline, cioè il loro ingresso nei ranghi ordinari della scuola, è un provvedimento che fa discutere. Pedrazzi lo considera un vero pasticcio. Vi vede un cedimento gravissimo da parte dello Stato. "Anche qui", dice, "occorre chiarezza. Se si stabilisce che gli insegnanti di religione devono essere graditi all'autorità ecclesiastica, ciò li rende diversi dagli altri: gli riconosce uno status giuridico del tutto particolare. Farne dei dipendenti statali è un accomodamento demagogico, dannoso sia allo Stato che alla Chiesa. Segna una vittoria degli insegnanti di religione non nella loro funzione, ma in quanto personale sindacalizzato. Il che priva l'autorità ecclesiastica di quel legame di garanzia cui essa aspira in virtù del Concordato".
Quale danno - materiale, ideale - può derivare alla Chiesa nell'avere dei "suoi" rappresentanti all'interno del corpo docente? "Ti faccio un esempio. Fino a qualche tempo fa, un ufficio diocesiano non dava il via alla nomina di un insegnante di religione che fosse un divorziato. Adesso, se questo insegnante divorzia dopo la nomina, trovandosi regolarmente in servizio è tutelato al pari di qualunque altro cittadino. Nessuno può rimuoverlo dal suo posto: neppure quella autorità che ha dato il "nulla osta" alla sua nomina. Con questa "equiparazione" sono giunte al culmine quelle incongruenze religiose-civili di cui è la massima espressione l'istituzione dell'ora di religione".
Anche a quella è contrario Pedrazzi, il cattolico Pedrazzi? "La considero un pasticcio consensuale. Mi consta che un grande costituzionalista e grande cristiano come Giuseppe Dossetti era contrario all'ora di religione. La giudicava inutile alla formazione culturale e religiosa dei giovani".


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