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Repubblica-A Milano battaglia sul velo scontro tra giunta e islamici

LE PROPOSTE A Milano battaglia sul velo scontro tra giunta e islamici L'assessore Maiolo: "Lasciate libere le vostre figlie" L'esponente di Fi scrive alle donne arabe: le ragazze vestano co...

13/09/2005
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la Repubblica

LE PROPOSTE
A Milano battaglia sul velo scontro tra giunta e islamici
L'assessore Maiolo: "Lasciate libere le vostre figlie"

L'esponente di Fi scrive alle donne arabe: le ragazze vestano come vogliono
L'Ucoii: è una ingerenza nel diritto all'educazione riconosciuto a tutti i genitori
"Molte hanno già gettato il chador, non dovete allevare delle disadattate"
I Ds criticano "l'imposizione". Per An e Fi si tratta invece di un "appello giusto"
TERESA MONESTIROLI

MILANO - Nel giorno in cui quattordici ragazze della scuola araba di via Quaranta varcano per la prima volta la soglia di un liceo statale, a Milano scoppia la battaglia del velo. L'assessore ai Servizi sociali del Comune Tiziana Maiolo scrive una lettera aperta alle donne islamiche pregandole, con toni gentili ma fermi, di lasciare che le loro figlie vestano come le altre ragazze per non trasformarle in "disadattate". L'Unione delle comunità islamiche ribatte: "È una forte ingerenza nel diritto all'educazione riconosciuto a tutti i genitori".
Alla bufera sul futuro della scuola illegale dove studiano 500 bambini che il Comune di Milano ha fatto chiudere per inagibilità, si aggiunge dunque una nuova polemica: velo sì o no in classe. E mentre quattordici ragazze, dopo un anno di studi integrativi, finalmente iniziano il loro cammino verso l'integrazione, la politica si spacca sul chador. Questione su cui, lo stesso ministro dell'Istruzione Letizia Moratti, in un'intervista alcuni giorni fa, aveva detto: "Le ragazze sono libere di portare il velo se lo desiderano. Integrazione non significa affatto cancellare la propria identità, ci mancherebbe".
Ora è l'assessore Maiolo, che è anche rappresentante italiana al comitato Onu per le Pari opportunità, a sollevare un vespaio. "Care sorelle islamiche - scrive alle donne arabe - lasciate libere le vostre figlie. Libere di andare a scuola come le altre, libere di studiare, di divertirsi e anche, perché no, di indossare la minigonna o i pantaloni a vita bassa. Aiutiamo queste ragazze a non sentirsi diverse". E prosegue, rincarando la dose: "Molte di loro hanno già gettato il velo alle ortiche, permettete anche alle altre di farlo, non allevate delle disadattate". Secondo l'assessore, infatti, questa è l'unica possibilità di "un pieno inserimento nella città dove abitano". Una città che "vi ha accolte", una città in cui, "più di altre, le donne e le ragazze sono libere, emancipate, brave a scuola e autonome".
La lettera aperta, "da donna a donna", diventa subito un caso politico. I primi a insorgere sono i rappresentati della comunità musulmana. Hamza Piccardo, segretario dell'Ucoii (Unione comunità e organizzazioni islamiche in italiana) all'assessore risponde: "Dopo il danno arriva la beffa. Questa amministrazione non ha fatto nulla per l'integrazione e invece di trovare una soluzione per via Quaranta l'ha chiusa da un giorno all'altro. Adesso aggiungono: rinunciate alla vostra identità". Lo scontro divide anche i partiti. Per il centrosinistra è "un'imposizione", per il centrodestra invece "libertà". Secondo Emanuele Fiano, capogruppo dei Ds in consiglio comunale, il velo "è solo una scelta delle famiglie", per le consigliere di An e Forza Italia invece quello della Maiolo è un appello "giustissimo": "Le giovani generazioni dovrebbero aprirsi alla società in cui si trovano" dice Maddalena Di Mauro, presidente della commissione Pari opportunità.
Mentre la politica si scontra ancora una volta sull'Islam, nelle scuole accade il piccolo miracolo dell'integrazione. In un istituto della periferia milanese ieri hanno fatto il loro ingresso, per la prima volta, tre sorelle pakistane la cui famiglia orbita da anni intorno alla comunità di via Quaranta. Con il capo coperto dal velo bianco e il corpo avvolto da un lungo kaftano colorato si sono sedute al primo banco di una seconda classe indirizzo scienze sociali, che il caso ha voluto composta da 18 studentesse italiane tutte strizzate in magliette extrasmall che lasciavano scoperto l'ombelico. Alle dodici e mezza, fuori da scuola, nessuno degli studenti ha notato la differenza delle tre ragazze islamiche. Anzi: Assia e Cecilia, compagne di banco da quattro anni, escono tenendosi per mano. Una col velo, l'altra in canottiera. Per tutti sono semplicemente delle compagne. Qualunque sia l'abito che indossano.


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