Reclutamento e ricerca, così resta tutto fermo
Di Antonio Banfi - Università di Bergamo
Ha creato scompiglio nelle università la notizia di un decreto legge che, fra l’altro, rivede le procedure di reclutamento previste dalla legge gelmini.Da anni si discute del problema e si tentano nuovi sistemi. Risultato di questa disordinata ricerca: tutto si ferma sempre. Le ultime tornate concorsuali di prima e seconda fascia risalgono al 2008. Il reclutamento È da allora sostanzialmente bloccato: si vanno riducendo gli organici, mettendo a rischio interi corsi di laurea, mentre la totale incertezza scoraggia i giovani migliori dal tentare la carriera accademica. Nelle università italiane lavora un gran numero di precari, che premono non senza ragione per avere l’opportunità di concorrere a una posizione accademica stabile e di ricercatori a tempo indeterminato, messi a esaurimento dalla riforma, che sperano di ottenere il passaggio alla fascia superiore dei professori associati. Nel frattempo, l’accademia È governata da un numero sempre più esiguo di ordinari, un ruolo falcidiato dai pensionamenti. Il quadro È preoccupante: se, per effetto di politiche scriteriate, la possibilità dei giovani studiosi di entrare nei ruoli universitari dovesse essere ulteriormente compromessa, si creerebbe un irrimediabile danno al sistema della ricerca che, nonostante i tagli, tiene ancora la sua posizione nello scenario internazionale. D’altro canto il meccanismo disegnato dalla riforma stenta a decollare. La legge prevede abilitazioni nazionali a lista aperta. I candidati ritenuti meritevoli da una commissione nazionale composta da docenti selezionati in base a criteri fissati dal ministero e chiamata a sua volta a valutare secondo criteri stabiliti, potranno concorrere nelle diverse università per divenire professori associati o ordinari sulla base di ulteriori regole e procedure che la legge lascia definire alle singole sedi. un meccanismo solo in apparenza capace di garantire il reclutamento dei più meritevoli. Le abilitazioni a lista aperta lasciano immaginare una platea di abilitati troppo vasta, che andrà a sommarsi agli idonei dei precedenti concorsi ancora in attesa di prendere servizio, e che il sistema non potrà assorbire. Infatti, altre disposizioni limitano drasticamente la possibilità degli Atenei di reclutare. per quanto riguarda i criteri di abilitazione, si sa che per alcune discipline prevederebbero il ricorso a indicatori bibliometrici, per altre l’uso di classifiche di riviste compilate in modo opaco sulla base di criteri non accertabili oggettivamente. In entrambi i casi si suppone la disponibilità di banche dati che non esistono e si dovranno costruire in urgenza. questi criteri, se irragionevoli o mal congegnati perché troppo macchinosi o basati su dati non adeguati, potranno produrre effetti distorsivi e condurre alla paralisi del sistema facendo incagliare la procedura nei ricorsi. FFa ribadito che il sistema universitario necessita di un reclutamento, anche limitato, ma continuo, per evitare che si impoverisca totalmente. proprio per questo sarebbe opportuno inserire un vincolo alle abilitazioni, rendendole a numero chiuso: si eviterebbe la concessione di abilitazioni a pioggia e si renderebbe il numero degli abilitati proporzionale alle disponibilità degli atenei. Occorre consentire ai precari della ricerca di concorrere a parità di condizioni con i ricercatori a esaurimento senza che per questi ultimi vengano costruiti percorsi preferenziali destinati a penalizzare i più giovani. Nessun tipo di promozione ope legis È accettabile, se davvero si vuole perseguire il merito. I criteri di selezione dei commissari e di valutazione dei candidati devono essere sufficientemente robusti nei confronti del contenzioso giuridico, pena il naufragio dell’intera operazione. Occorre fissare le regole in base alle quali le università procederanno ai reclutamenti per garantire che il merito prevalga sul nepotismo e il localismo, anche, e soprattutto, nella fase cruciale: quella che porta gli abilitati a diventare professori. Da ultimo, È urgente porre rimedio a quanto previsto dalla riforma Gelmini che, modificando il sistema precedente, sottrae a regole chiare il reclutamento per chiamata diretta di soggetti che, nell’attuale situazione di stallo, possono beneficiare di avanzamenti di carriera fuori sacco aggirando le procedure concorsuali. Cosa che con il “merito” ha davvero poco a che fare.