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Racconti dal mondo della scuola di Domenico Starnone

https://www.casadellacultura.it/ Racconti dal mondo della scuola di Domenico Starnone La figura dell'insegnante è centrale nella scuola, così come fondamentale è il rapporto che si instaura...

12/02/2002
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Racconti dal mondo della scuola
di Domenico Starnone

La figura dell'insegnante è centrale nella scuola, così come fondamentale è il rapporto che si instaura tra l'insegnante e i suoi studenti. Domenico Starnone parte dalla sua esperienza personale di studente prima e insegnante poi, per raccontarci la difficoltà di fare oggi il mestiere dell'insegnante e dell'adulto.

Ricreazione. L'insegnante è seduto dietro la cattedra con alcuni ragazzi intorno.

- Professore, che cosa fa?
- Faccio il piano didattico
- E che ci mette nel piano didattico?
- Ci metto quello che poi dobbiamo fare di giorno in giorno.
- Faccia così, ci metta questo' Scriva: io e lei, e loro, stasera, partiamo. Prendiamo la sua macchina, ma guido io perché altrimenti non arriviamo mai, andiamo a Rimini, discoteca, una bella pasticchetta, ci divertiamo e torniamo la mattina dopo giusto in tempo per arrivare a scuola così le faccio vedere io che cos'è la vita vera.
- Come faccio a fare un piano didattico senza metterci Dante'
- Ci metta Dante, ci metta che Dante si bucava
- Che ne sai che si bucava
- Si capisce' aveva le visioni
- Ci metta - dice un altro - che tra Dario Argento e Dante Alighieri c'è un'affinità.
- Perché?
- Dario Argento ha fatto il film Inferno e Dante Alighieri ha scritto l'Inferno, ma non basta: hanno entrambi le stesse iniziali.

Potrei raccontare tanti altri episodi di questo tipo, di fronte ai quali è difficile capire come reagire: se in una forma di connivenza, di complicità, oppure prendendo le distanze o ancora cercando di capire che tipo di messaggio cercano di lanciare con queste estremizzazioni.

Nella vita vera degli studenti, la scuola e ciò che si fa a scuola sono totalmente assenti: parlano di musica, di fidanzate, di ragazze, del loro gruppo, dei rapporti interni al loro gruppo, ma la scuola è niente. Del resto, lo dicono esplicitamente:
- Che cosa hai fatto a scuola?, chiediamo quando rientrano.
- Niente, rispondono.

E, di nuovo, è un segnale allarmante?, che cosa significa questo "niente"?
Eppure, è vero che noi per loro non facciamo niente. Niente di ciò che a loro in questa fase interessa sul serio. Come deve comportarsi un insegnante davanti a queste ed altre espressioni del disagio degli studenti?

Voglio fare un altro esempio.
In un certo periodo a scuola avemmo un collega che la pensava in maniera del tutto diversa da me, era cioè estremamente severo. In classe, c'era un ragazzo cui tenevo molto, mi piaceva proprio perché era un irriducibile, non voleva arrendersi mai. Questo ragazzo aveva la bruttissima abitudine di sedersi allungando le gambe sulla sedia davanti a lui: l'insegnante, durissimo, lo prese di punta. Un giorno lo trovò seduto come sua abitudine:
- Alzati, gli disse. E il ragazzo si alzava
- Siediti. E il ragazzo si risedeva come suo solito.

L'insegnante continuava e il ragazzo non cedeva
- Alzati
- Siediti
- Alzati
- Siediti
- '

Il ragazzo resisteva fino allo stremo. Finché cedette del tutto. Cominciò a sbattere la sedia, rovesciò il banco. L'insegnante rimase sconvolto, ma non prese nessun provvedimento. Aveva percepito di avere torto, di aver imboccato una via del conflitto senza uscita, perché aveva portato il conflitto troppo avanti.
La scuola sembra avere solo due alternative: punire o lasciar correre. Dovrebbe, invece, imboccare una via più complessa, che richiede conoscenze, pazienza, perdita di tempo, dedizione. Tutte cose che nella scuola di oggi mancano.

Gli insegnanti hanno per tratto caratteristico di essere stati fatti prigionieri a sei anni e di non essere mai stati più rilasciati dalla scuola. Per questo, l'esperienza di cui un insegnante deve fare tesoro, è quella complessiva, quella che parte da quando aveva sei anni. Capire bene che rapporto abbiamo avuto con la scuola, come abbiamo reagito da studenti, nelle varie fasi della nostra formazione significa mettersi in discussione e rimanere aperti al confronto con gli studenti di oggi. Un insegnante deve cercare di tenere insieme le sue esperienze all'interno delle mura scolastiche: quelle vissute da scolaro, da studente, da studente universitario, infine da insegnante.

Voglio quindi raccontare due episodi che riguardano la mia vita di studente.

Il primo. In quarta ginnasio, avevo accanto a me un compagno di banco con cui mi ero affiatato molto. Stavamo bene insieme e non facevamo che confrontarci su questioni scolastiche. Avevamo un'ottima insegnante di lettere: una bella donna, gentile, preparata. Un giorno andai a scuola con un cappotto nuovo, aveva le asole nascoste ed era difficile infilare i bottoni. Cerco di farlo, ma non ci riesco e chiedo al mio amico di inserire lui il bottone. L'insegnante cattura questo gesto e dal giorno dopo ci chiede di metterci in banchi separati e per tutto l'anno non ci farà mai più stare vicini.
Ho impiegato molto tempo per capire che aveva subodorato un tratto di omosessualità e questa cosa l'aveva spaventata.

Il secondo. Agli inizi del liceo avevamo un insegnante di latino durissimo: una delle persone che ho più odiato nel corso della mia carriera di studente. Ci interrogava e in genere non metteva voti, ed era in questo molto all'avanguardia; faceva di peggio, al primo errore, tirava un colpo durissimo sui genitali e noi cascavamo in ginocchio. Lo odiavamo. Tra di noi c'era il figlio di un insegnante dell'istituto: coltissimo, preparatissimo. In una certa occasione, questo insegnante ci fa una domanda difficilissima. Chiese ad alcuni tra i più bravi e poi, non soddisfatto delle risposte, chiese anche a questo ragazzo. Sentita la sua risposta, uguale alle altre e, come le altre, corretta, l'insegnante ebbe una vera e propria crisi isterica, cominciò a dire: "ma se sbagli anche tu che cosa devo fare, mi devo tirare un colpo di pistola. Subito, immediatamente, riempite tutti due pagine di quaderno con questa regola". Noi avevamo la grammatica sotto gli occhi, sapevamo di avere ragione, ma la stragrande maggioranza riempì comunque due pagine di quaderno riportando questa regola errata per evitare botte, percosse, urli. L'insegnante, intanto, passava tra i banchi, e quando arrivò dal più bravo della classe, venne fuori che lui aveva scritto sempre, per due pagine, la formula giusta.
Ricordo questo episodio con un senso profondo di umiliazione. L'umiliazione sta nel fatto che io non avevo avuto il coraggio di fare ciò che aveva fatto lui. È uno dei segni che mi ha accompagnato per tutta la vita: temo sempre di non avere coraggio.

Quello che mi viene in mente è che noi adulti e noi insegnanti in particolare abbiamo spesso un rapporto migliore, un buon rapporto, con le memorie della nostre infanzia e un rapporto spesso di imbarazzo, di disagio con la nostra fase adolescenziale. Ci sono tratti della nostra adolescenza che nel segreto di noi ci respingono e quando li riconosciamo negli adolescenti che abbiamo davanti ci trasformiamo in adulti stizziti, astiosi, aggressivi, anche impauriti. Non penso che noi siamo spaventati da questa adolescenza in particolare, perché dice "a scuola non abbiamo fatto niente" o perché porta un po' di orecchini. Penso che siamo spaventati dalla nostra adolescenza, almeno nei suoi tratti profondi, indicibili. Quando un insegnante si sente irritato perché non lo studente non si è seduto compostamente davanti a lui, che rappresenta un'autorità, probabilmente è il suo stesso corpo che si torce per tutte le angherie che ha subite, ma questo invece di spingerlo verso un atteggiamento di comprensione, lo spinge a un atteggiamento di aggressività, anche di sadismo.

Al massimo, riusciamo ad accettare la fine dell'adolescenza, il momento in cui ci si assesta, ma i luoghi bui dell'adolescenza, tra i 13 e i 16, quelli li vediamo con sospetto innanzitutto dentro di noi. Direi con una formula kafkiana che è una vergogna che in qualche modo è durata oltre quell'età e ce la portiamo ancora dentro e non siamo contenti.
Se noi riuscissimo a raccontare di più a noi stessi, in molti casi in maniera spietata, che cosa siamo stati come adolescenti, probabilmente saremmo più disponibili, più attenti, avremmo un rapporto di maggiore affetto. In linea di massima, invece, come insegnanti, tendiamo ad amare gli adolescenti che appaiono già normalizzati e siamo invece preoccupati e tesi verso quell'adolescente che porta tutti i segni che in noi stessi abbiamo represso e allontanato.
Gli adulti temono l'altra adolescenza , quella che sta per arrivare, cioè la vecchiaia: un luogo, di nuovo, della scomposizione dell'identità, della trasformazione del corpo, della difficoltà di riconoscersi allo specchio, del mutare della voce' Evidentemente noi andiamo verso un continuo respingere questa nuova mutazione, con l'aiuto della scienza, portandoci dentro ancora il rifiuto di quella prima trasformazione, che dura e ci accompagna per tutta la vita e se non riusciremo a conviverci,ogni rapporto sano con gli adolescenti ci è precluso..

Nei loro confronti, soprattutto come insegnanti, dovremmo cercare di tenere una specie di atteggiamento affettuosamente distaccato o di distacco affettuoso. Amarli troppo, come detestarli, significa tradirli. Bisogna arrivare a offrire loro tutte le occasioni di conflitto che chiedono, ma in un clima di amore e di rispetto. La scuola disgraziatamente non va in questa direzione. In alcuni casi tende addirittura ad arretrare, pensando che i ragazzi vadano presi a frustate come si faceva nell'Ottocento. Pensiamo a tutta la polemica sul voto di condotta. La scuola, cioè, continua a pensarsi come uno strumento di contenimento, la gabbia che rende domestico l'adolescente. Perché questa è l'idea che la scuola ha degli studenti: animali, spiriti corrotti. Voglio raccontare a questo proposito, un altro fatto, emblematico.
Durante gli scrutini, il sei diventa sex. Perché è sempre stato un mistero. A un certo punto della mia vita professionale, ho finalmente trovato il coraggio di chiederne ragione al preside che, con disinvoltura, mi rispose che il "sex" era un sistema cautelativo nei confronti dello spirito criminale degli studenti: se noi sulla pagella avessimo scritto sei, lo studente di animo malvagio e corrotto, avrebbe trovato modo di cambiarlo, avrebbe tirato su la i, aggiunta una stanghetta, poi una t, e alla fine quel sei sarebbe diventato sette. Inutile dire che l'introduzione delle pagelle elettroniche non ha cambiato nulla.
Finché non capiremo che gli studenti non sono questi spiriti corrotti, non ci sarà miglioramento.

Fare l'insegnante oggi è difficile, lo è perché non siamo più sicuri della nostra funzione, i vecchi sistemi repressivi sono inadeguati e i nuovi sono difficili da trovare. Ma, per fortuna, la scuola ha anche insegnanti che si muovono, reagiscono, pensano il loro lavoro in maniera del tutto diversa. Ci sono insegnanti estremamente attenti sia ai loro ragazzi, sia ai genitori e che fanno il possibile per fare bene il loro lavoro in una istituzione che è invecchiata e andrebbe cambiata. Una scuola che dia qualcosa di più della scuola attuale è possibile.


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