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Quintiliano l'aveva capito

di Benedetto Vertecchi

31/08/2013
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Ripropongo, perché mi sembra che valga la pena di raccogliere l’indicazione di Quintiliano, uno scritto apparso tempo fa su Tuttoscuola. BV

Suggerisco, a quanti l’abbiano dimenticato, di rileggere l’inizio della prima Istituzione di Quintiliano. In poche pagine troviamo quanto occorre per risollevarci dalla depressione che è inevitabile investa chi rifletta sullo stato attuale dell’educazione al sentire gli argomenti che sono usati per giustificare scelte che non possono esserlo. Ma troviamo anche un sicuro antidoto per disintossicarci dall’eccesso di ideologia che negli ultimi decenni ha finito con l’avvolgere con una cortina fumogena i problemi della scuola.

Seguiamo gli argomenti di Quintiliano. I genitori, fin dalla nascita dei figli, debbono aver fiducia nelle loro possibilità di apprendere. Si deve respingere, infatti, “l’idea secondo cui la capacità di comprendere le cose che si trasmettono sarebbe un dono riservato a pochi”: tutti possono apprendere, ovviamente se possono fruire di opportunità di educazione adeguate. Ma, intanto, sgomberiamo il campo dai pregiudizi: non è vero che i più “perderebbero tempo e fatica per via della loro lentezza intellettuale”. E ciò perché apprendere per l’uomo è un fatto naturale, come lo è correre per i cavalli. A scanso di interpretazioni riduttive, Quintiliano si affretta ad aggiungere che non solo apprendere è conforme alla natura dell’uomo, ma lo è anche accrescere le conoscenze attraverso la ricerca (credo di aver reso correttamente il senso di nobis propria est mentis agitatio atque sollertia). Gli interpreti di quella sorta di pensiero unico educativo che si alimenta di banalità aziendaliste sostengono oggi l’opportunità di effettuare scelte al ribasso per chi non mostri di possedere specifiche capacità di apprendere: tali interpreti pretendono di essere considerati innovatori, dimenticando (forse non l’hanno mai saputo…) che le loro affermazioni sono solo la riproposizione dei vecchi argomenti con i quali le classi favorite hanno cercato di frapporre ostacoli al crescere della domanda di istruzione scolastica da parte delle classi sociali che tradizionalmente non ne avevano fruito.

Quintiliano è ben consapevole del fatto che un conto è parlare di ciò che può essere appreso, un conto apprendere. È vero che bambini e ragazzi dispongono di un potenziale di apprendimento assai maggiore di quanto alcuni (molti?) siano disposti a riconoscere, ma è anche vero che occorre preoccuparsi delle condizioni dello sviluppo per assecondare il processo tramite il quale ciò che è solo in potenza trova modo di attuarsi. E la prima condizione è costituita dalla qualità delle interazioni tramite le quali avviene l’apprendimento del linguaggio. Occorre che tutti coloro che sono in contatto con i bambini, fin dai primi anni di vita, siano in grado di esprimersi correttamente. Quintiliano è talmente convinto della centralità di questa condizione nel processo educativo che ritiene opportuno citare affermazioni analoghe di Crisippo, il filosofo stoico vissuto nel terzo secolo avanti Cristo. Debbono essere in grado di parlare con proprietà sia le nutrici (ovvero, mutatis mutandis, persone che abbiano con i bambini relazioni di tipo professionale), sia i genitori (si veda, in particolare, il passaggio in I, 1, 6-7). Quintiliano sa bene che molti genitori non dispongono del livello di cultura che sarebbe necessario per esprimersi con proprietà, ma osserva che di tale limite si deve almeno essere consapevoli, al fine di evitare che siano percepiti come positivi esempi che non lo sono.

Leggere Quintiliano alla luce (si fa per dire) della sensibilità attuale può fornire elementi utili per comprendere le ragioni di molte delle difficoltà che i sistemi educativi (e il nostro in misura anche maggiore di altri) stanno incontrando, Per cominciare, le condizioni di vita nel mondo contemporaneo hanno per alcuni versi migliorato le condizioni dello sviluppo (certamente è stato così dal punto di vista fisico), ma per altri sono all’origine di conseguenze che non possono non preoccupare. Le occasioni di interazione verbale dei bambini con i coetanei e con gli adulti si sono rarefatte: spesso i bambini sono  figli unici che trascorrono tempi sempre più lunghi esposti a messaggi unidirezionali e per di più progressivamente più poveri di parole. Quando incomincia il percorso di educazione formale (già nella scuola dell’infanzia, e in misura progressivamente maggiore nella scuola primaria e in quella secondaria) gli scambi verbali capaci di contribuire ad accrescere il repertorio linguistico di bambini e ragazzi sono soprattutto quelli che avvengono all’interno della scuola, mentre le altre esperienze appaiono sempre più dominate dalle scelte comunicative proprie dei mezzi di comunicazione sociale, e in particolare della televisione. Questi ultimi, per ragioni commerciali facilmente intuibili, hanno individuato nella riduzione della qualità linguistica dei messaggi un modo per accrescere la quantità di pubblico potenziale. Si riduce il lessico, si semplifica fino a banalizzarla la sintassi, all’argomentazione si preferiscono i richiami suggestivi e così via.

Non solo: i mezzi di comunicazione propongono modelli che vanno nella direzione contraria a quella necessaria per conseguire il successo nella’rendimento formale. Basti un esempio: siamo abituati ad ascoltare le geremiadi che accompagnano la pubblicazione dei rapporti relativi alle grandi rilevazioni internazionali sui livelli di apprendimento degli allievi dei diversi sistemi scolastici. Tra gli aspetti meno positivi (e disastrosi nel caso italiano) ci sono i risultati conseguiti in matematica e nelle scienze. Ma che cosa si è ripetuto ai nostri ragazzi, che infine se ne sono convinti, se non che certe conoscenze non servono e che il possesso di altre era un’esigenza d’altri tempi? Per quel che riguarda la conoscenza della natura, i messaggi non si preoccupano di accrescere le conoscenze e di facilitare la comprensione, ma in nome della divulgazione liquidano questioni che richiederebbero ben altri approcci, se solo li si volesse affrontare per la loro rilevanza conoscitiva, evocando immagini in grado di produrre risposte solo a livello affettivo e, non di rado, sostituendo la razionalità che costituisce il fondamento della scienza con richiami magici: è una specie di ossimoro cognitivo, quello che pretende di sostituire ciò che compete alla ragione col suo contrario (di volta in volta con le superstizioni, l’irrazionalità, il senso comune).

Di fronte alla crisi dei sistemi scolastici, le proposte più comuni consistono nel sostenere che si debbono riformare gli ordinamenti, che occorrono insegnanti più preparati, che è necessario un maggior ricorso alle opportunità offerte dalla tecnologia e via seguitando: chiunque è in grado di proseguire questo elenco. Quintiliano ci invita, invece, a procedere in tutt’altra direzione, affrontando i problemi dell’educazione senza introdurre scissioni fra ciò che è interno e ciò che è al di fuori della proposta di istruzione formale: in breve, un linguaggio ugualmente capace di esprimere cultura deve costituire l’ambiente nel quale avviene lo sviluppo, all’interno come all’esterno della scuola. Ma ciò comporta che a bambini e ragazzi non si presentino modelli di valore alternativi, per effetto dei quali l’apprendimento conseguito non corrisponde ad alcun particolare apprezzamento, mentre simboli esterni di affermazione e di integrazione sociale sono proposti ossessivamente come criterio di successo.

Proprio sulla base di Quintiliano dovremmo giungere alla conclusione che riformare l’educazione formale comporta interventi che sono in primo luogo esterni ad essa. Ci si deve occupare degli adulti (e non solo per far apprendere loro nuove tecniche utili per il lavoro, ma per accrescere il patrimonio di simboli di cui dispongono), occorre impostare scelte culturali capaci di contrastare le sciatterie, le imprecisioni, le sgrammaticature che imperversano nella comunicazione sociale, deve essere modificato il rapporto fra esperienze formali e informali. Riassumendo, la crisi può essere affrontata se: 1) si offrono opportunità di conoscenza (formale e informale) a tutta la popolazione; 2) si interviene decisamente per elevare la qualità dei messaggi sociali (e dei valori che ad essi sono implicitamente collegati); 3) si accresce in modo sostanziale il tempo che bambini e ragazzi vivono in contesti che rispondano a criteri definiti di qualificazione (in primo luogo la scuola, che non può essere solo la sede in cui si svolgono lezioni).


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