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Questa scuola che misura e non insegna più

Uno spettro si aggira per le scuole italiane: la «certificazione per competenze».

11/10/2011
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l'Unità

Roberto Carnero

Uno spettro si aggira per le scuole italiane: la «certificazione per competenze». L’espressione, in perfetto burocratese-didattichese(come le altre che seguiranno più avanti tra virgolette), si riferisce a una dempimento legato al maldestro tentativo di uniformare a livello europeo le certificazioni in uscita dai diversi gradi del sistema scolastico. Diciamo maldestro perché si tratta di un approccio che finisce con il conculcare le specificità dei diversi ordinamenti nazionali. Poiché i curriculum degli istituti superiori (ma anche delle scuole medie e di quelle elementari) sono piuttosto diversi da un Paese all’altro dell’Unione Europea, si è pensato di puntare sulle «competenze», piuttosto che sulle «conoscenze». Succederà quindi che, ad esempio, all’assolvimento dell’obbligo di istruzione (dopo il primo biennio di scuola superiore), insieme con la pagella verrà consegnato agli studenti una certificazione delle competenze acquisite. Si pongono però due ordini di problemi. Il primo riguarda il tipo di certificazione, che rischia di essere del tutto avulsa dalla didattica svolta durante l’anno. Ad esempio nel nostro Paese nelle ore di Lettere italiane gli attuali programmi prevedono che per gran parte del tempo a disposizione si insegni la letteratura. Ebbene nell’«asse dei linguaggi» si chiede di valutare la capacità di «padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per gestire l’interazione comunicativa verbale in vari contesti» (come a dire: tutto e niente), di «leggere, comprendere e interpretare testi scritti di vario tipo» (cioè dal manuale di istruzioni della lavatrice alla ricetta per la torta della nonna), di «produrre testi di vario tipo in relazione a differenti scopi comunicativi » (volendo anche gli sms o i post su Facebook), ma non si nomina mai, neanche per sbaglio, la letteratura. La seconda questione riguarda ilmodo per arrivare alla valutazione delle competenze. Il buon senso vorrebbe che - come si è deciso di fare in alcune scuole - alla fine dell’anno scolastico si trasformino i voti delle normali verifiche (compiti in classe e interrogazioni) nelle tre fasce previste dalla modulistica predisposta dal Ministero («livello base», «livello intermedio», «livello avanzato»). Ma siccome così sarebbe troppo semplice sta prendendo piede l’idea che per certificare le competenze vadano predisposte apposite prove interdisciplinari. Il vero problema è che si tratterebbe di una valutazione sganciata da ciò che per un intero ciclo di studi si è fatto davvero in classe. Un po’ come è accaduto con le prove Invalsi. L’alternativa - suggerisce qualcuno - sarebbe quella di rovesciare la prospettiva, cambiando la didattica in funzione delle competenze. Certo, snaturando completamente la nostra scuola. A vantaggio di un’idea astratta di «misurabilità» che nulla ha a che fare con un autentico processo educativo.❖ 


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