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Quelle classi “impossibili” che alimentano Dsa e voti bassi

Ogni volta che escono i dati Ocse-Pisa e Invalsi fioccano le analisi, ma nessuno propone soluzioni. E si chiudono gli occhi davanti ai problemi che andrebbero affrontati per primi

17/12/2019
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Il Sussidiario.net

Sergio Bianchini

Che ci sia un declino nella scuola lo sanno anche i sassi. Gli psicologi scolastici da tempo conoscono bene il continuo aumento delle certificazioni Dsa, cioè del blocco nell’acquisizione delle abilità base di leggere, scrivere e calcolare. Conoscono bene anche l’aumento delle certificazioni di disturbi del comportamento, che tratterò dopo. I dati Ocse e quelli Invalsi convergono nel certificare ciò che insegnanti e genitori sanno da decenni, ma i nostri esperti cosa propongono? Niente. Ovviamente è un niente intelligente, pieno di buone esortazioni generiche, un niente nobile ma disperato e perfino malinconico. Si vede che sperano solo in un miracolo, anche se sono magari dei razionalisti puri.

Nessun intellettuale di rango sembra ormai capace di misurarsi con la situazione organizzativa della scuola, quella degli alunni reali, degli insegnanti reali, dei presidi. Si susseguono gli appelli morali. Difronte al crollo della qualità si invoca più qualità. Difronte all’aumento del bullismo si invoca l’educazione contro il bullismo. Difronte all’aumento dei comportamenti asociali si invoca l’educazione civica. 

L’esortazione al bene, antico compito della Chiesa, sembra diventato il principale strumento di chi governa. Chi ha responsabilità politiche non sembra interessato ad esaminare e gestire la situazione organizzativa, la condizione reale, quotidiana dello studente e dell’insegnante. I dati costanti del declino, seriosamente esposti, servono solo ad affermare dichiarazioni generiche ed inutili vecchi luoghi comuni. 

Luisa Ribolzi, nel suo ottimo articolo sul Sussidiario dove commenta il rapporto Ocse-Pisa scrive: “il modello centralistico e standardizzato… concede alle scuole una limitata autonomia e non esercita un reale compito valutativo, è inefficace e anche inefficiente”. 

Si denuncia l’eccesso centralistico, ma come superare l’inettitudine generale ministeriale? Prosegue Ribolzi: “È diffusa – ma sbagliata – la convinzione che per colmare il divario è necessario investire in infrastrutture, perché le scuole del Sud sono fatiscenti, prive di collegamenti veloci con la rete, e via dicendo… l’elemento qualificante di una scuola, quello che ‘fa la differenza’, è la qualità dei docenti e dei dirigenti”. Vero. Ma come ripristinare questa qualità perduta?

Noto che quando la nostra scuola elementare funzionava bene ed era rinomata nel mondo intero il maestro aveva un diploma di 4 anni dopo la media ed iniziava ad insegnare a 18 anni. Faceva 24 ore di presenza nell’aula in cui anche gli alunni stavano per 24 ore. Nel 1990 le ore di insegnamento del docente sono diventate 22 e 2 ore settimanali sono state destinate al coordinamento tra gli insegnanti plurimi di una classe che impegnava i poveri alunni per 30/40 ore. Poi è subentrato l’obbligo di laurea e poi… il continuo declino. En passant, segnalo che l’amatissimo don Milani salvava solo i maestri e malediceva le professoresse e il “partito dei laureati”. E non voleva l’accesso all’università dei diplomati magistrali, che poi è diventato legge, perché solo così il maestro sarebbe rimasto “puro”. Avrebbe voluto anche una media unica affidata ai maestri, ma vinse il partito dei laureati. Alla fine, nel 1999, l’istituto magistrale è stato chiuso.

C’è di peggio della diseguaglianza tra scuole forti e scuole deboli ed è l’arresto di tutto il sistema, che non avanza più, semmai retrocede.

Ma ogni sforzo creativo e rinnovatore non può fermarsi all’analisi; deve fornire indicazioni precise su come correggere il sistema. Così non accade e la tenaglia allarmismo-incitazione si contrae, come sempre inutilmente, nella realtà sfinita della scuola. 

Curiosamente tutti o quasi gli analisti dei dati Ocse-Pisa ignorano totalmente un dato, quello del peggioramento del clima nelle classi e della diminuita collaborazione alunni-docenti. Cinque anni fa scrissi un articolo sulla situazione ormai disastrosa rispetto al governo delle classi. Nessuna eco. Adesso se ne accorge perfino l’Ocse. Se si parla con gli psicologi dei disturbi giovanili conclamati e certificabili si apprende che sono in grande aumento sia quelli dell’apprendimento, nominati sopra, sia quelli del comportamento. I secondi riguardano l’ormai diffusa presenza di comportamenti sempre più dirompenti, in un crescendo analiticamente ben descritto. 

Cito i principali passaggi:

1. Disturbo dell’attenzione, impulsività e iperattività.

2. Disturbo oppositivo provocatorio caratterizzato da ira permanente, irritabilità ecc.

3. Disturbo della condotta con atteggiamenti violenti e persecutori dei compagni, crudeltà verso animali, ecc. Qui si posiziona il bullismo.

4. Il disturbo antisociale: tende alla manifestazione di tutti i disturbi precedenti con un alto grado di intensità e ad un’età maggiore.

Queste analisi e descrizioni molto fedeli e pertinenti avvengono però nel distacco assoluto dell’attenzione circa la relazione col buon governo della classe. Gli psicologi si concentrano sulla necessità di analisi precoci del disagio individuale e incitano gli insegnanti ed i genitori ad intervenire, certificare, comprendere, sopportare.

Nessuno si occupa del buon governo delle classi, nelle quali ormai il clima è quasi sempre caotico e fuori controllo.

Eppure il clima di classe agisce potentemente sia sul manifestarsi dei disturbi individuali sia sul loro possibile trattamento che, se ben fatto, può renderli perfino impercettibili. Le maestre anziane mi raccontavano che non avevano mai avuto certificazioni ma conoscevano bene e gestivano ordinatamente, pazientemente, bonariamente i ragazzi vivaci, distratti, prepotenti (e i timidi, i cretini, gli svogliati, come li chiamava don Milani). Fruivano allora di una grandissima autorevolezza anche “coercitiva” sostenuta dalle famiglie e dalla società. Nessun alunno avrebbe mai osato insultare o addirittura aggredire il maestro.

La precisa descrizione e catalogazione di comportamenti antichi e ben noti, insiti da sempre, assieme agli altri, nella vicenda umana, non sta producendo miglioramenti non solo nel clima ignorato della classe ma nemmeno nelle capacità di trattamento dei casi specifici di disturbo certificato da parte di docenti e genitori e tantomeno del ministero. L’autonomia scolastica è diventata un alibi per l’inettitudine ministeriale. Il pensiero creativo ma concreto e organizzativo si è eclissato. Le analisi prendono il suo posto.

Ad esempio, analizzando i disturbi del comportamento, si rileva che nei portatori di questi disturbi prevalgono i maschi da 4 fino a 9 volte rispetto alle femmine. Ma nessuno si chiede come incida su questa “stranezza” il genere femminile dell’insegnante, ormai quasi pari al 100% nelle scuole elementari e pari a circa l’80% nelle scuole medie. Torna fuori l’innatismo e la terapia farmacologica.

Nessuno si chiede come le 6 (e persino 7 negli Itis e Ips) ore consecutive di lezione incidano sul disagio di massa degli alunni e principalmente dei maschi.

Nessuno si chiede come incida sul disagio di massa la continua rotazione annuale degli insegnanti e quella bi- o triennale dei presidi.

Nessuno si chiede come sia possibile correggere i disturbi individuali in una situazione gravosa e caotica dove cresce il disagio di massa che potenzia e moltiplica i disturbi individuali.

In alto, nell’empireo della moltiplicazione e del riconoscimento dei diritti individuali e del dirigismo esortativo, circolano tanti petali odorosi che cadono inutili e perfino dannosi nella palude.

P.S. Non sono un nostalgico ed ho espresso un intero programma di riorganizzazione semplice, rapida e a costo zero del sistema scolastico che molti conoscono.


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