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Quell'antica polemica fra Tolstoj e Don Matteo

È in atto da anni un complotto ordito da televisione e politica, forse l’unico vero complotto fra le migliaia d’inventati, per abbassare le difese culturali dei cittadini e renderli sempre più carne da spot e slogan

09/05/2014
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la Repubblica

Curzio Maltese

CAPITA di rado d’essere in accordo con un ministro e dunque leviamo il calice: bravo Franceschini. In un colpo solo ha fatto due scoperte. La prima è che con la cultura si mangia. L’altra è che la televisione italiana «danneggia la lettura». Anzi, diciamola tutta, la televisione è ormai uno dei più efficaci ed entusiastici fattori di analfabetizzazione degli italiani. Dalla mattina presto a notte fonda, su tutte le reti, pubbliche e private, con una lena degna di migliori cause. Insieme però alla politica, che della televisione in Italia è serva e padrona.
È in atto da anni un complotto ordito da televisione e politica, forse l’unico vero complotto fra le migliaia d’inventati, per abbassare le difese culturali dei cittadini e renderli sempre più carne da spot e slogan. Il ministro dei Beni culturali l’ha finalmente capito.
Ecco, magari i «risarcimenti» proposti da Franceschini non sono tutti augurabili.
Non è detto, per esempio, che aumentare le trasmissione sui libri serva a farli amare. È una polemica dai tempi di Angelo Guglielmi. Fabio Fazio non conduce un programma di libri ma trasforma in bestseller quasi tutto ciò che tocca. Un secolo fa, in termini televisivi, Beniamino Placido, che oltre a criticare la tv la sapeva fare, era capace di riaccendere in una sola serata l’interesse dei giovani per Garibaldi o Carlo Marx.
Non esiste un Pivot italiano e qui funzionerebbe assai di più un programma sui libri di Roberto Benigni, peraltro davvero coltissimo. Non è neppure sicuro che sia utile infilare la lettura in qualche fiction di preti, poliziotti e camorristi. Don Matteo che compulsa Tolstoj, fra un caso e l’altro?
Mah. I tg piuttosto potrebbero parlare anche dell’uscita di libri veri e non solo di quelli di Bruno Vespa.
Comunque, bravo Franceschini, l’idea è quella. Con la cultura fra l’altro, ha ammesso, si mangia. Gli italiani lo sanno da sempre. Per secoli e secoli hanno preservato il più grande patrimonio culturale della terra da guerre, invasioni, terremoti, alluvioni, pestilenze. Tutto per consegnarlo a posteri assai più benestanti che lasciano crollare le mura di Pompei.
Salvatore Settis ha citato al Salone la stupenda costituzione della Repubblica di Siena del 1309, che al primo punto metteva la cura della bellezza cittadina «per l’allegrezza dei forestieri e per il benessere dei senesi». Eravamo più moderni e «globali» sette secoli fa?
Negli ultimi anni i governi hanno tagliato due miliardi di fondi alla cultura. Siamo all’0,1 per cento del Pil, un terzo della Spagna. I posti di lavoro del settore sono scesi a metà della Francia e a un terzo della Germania. La guerra telepolitica contro la cultura (o l’intelligenza?) è stata condotta con armi retoriche suadenti. La riforma Gelmini fu pubblicizzata dalle televisioni come un biscotto del Mulino Bianco: la maestra unica, i grembiulini, i voti d’una volta.
Bene, è servita a licenziare decine di migliaia d’insegnanti, i nuovi capri espiatori di professione, insieme a pensionati e lavoratori a tempo indeterminato. Tutta gente che notoriamente sguazza nell’oro. Con la cultura si mangia, gli italiani l’hanno sempre saputo. Con la televisione invece ormai viene il mal di stomaco, si sa anche questo.


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