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Quel dibattito che non decolla...

Eclissi della pedagogia?

30/03/2015
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Tuttoscuola

3. Ddl/1. Quel dibattito che non decolla...

Sarà perché troppe volte in passato si è data per fatta, o sul punto di partire, la riforma della scuola, salvo poi scoprire che cambiava poco; sarà perché – malgrado gli sforzi del premier Renzi per accreditarla come la più importante delle riforme – i mass media non ci hanno creduto, riservando alla scuola (salvo eccezioni) non editoriali in prima pagina ma dimesse cronache sulle vicissitudini del precariato; sarà perché, dopo la stagione delle mediazioni e dei compromessi, presenti anche in riforme apparentemente radicali come quelle legate ai nomi di Luigi Berlinguer e Letizia Moratti, si attende ora di capire se il decisionismo renziano condurrà a una vera svolta, e di che genere.

Sarà probabilmente per un mix di queste ragioni, ma è un fatto che il dibattito pubblico sulla scuola, sul suo ruolo e sul suo destino, non decolla.

Vedremo se il silenzio degli intellettuali, osservato finora con rare eccezioni, proseguirà anche quando la Camera inizierà, tra pochi giorni, a discutere il provvedimento, che contiene numerose e impegnative indicazioni sull’identikit della scuola futura.

Tuttoscuola ha individuato nell’ottica quantitativa ed enciclopedica un grave limite strutturale del Disegno di legge, che rischia in questo modo di creare teste ‘ben piene’ piuttosto che ‘ben fatte’, secondo la classica antitesi di Montaigne - che l’aveva coniata peraltro pensando ai docenti - ripresa da Edgar Morin, che invece la applica agli studenti.

Una obiezione condivisa da Alessandra Cenerini, presidente dell’ADi, una seguita associazione di docenti, nell’intervista che ci ha rilasciato a commento del Disegno di legge.


4. Ddl/2. Eclissi della pedagogia?

Ma chi dovrebbe intervenire in primo luogo nel dibattito? Secondo noi su un tema di questo genere non dovrebbero esserci esclusive o riservati domini. La profonda trasformazione dei sistemi di comunicazione indotta dalle nuove tecnologie e dalla rete incide a tal punto sui modelli scolastici tradizionali da far ritenere che solo dalla collaborazione sinergica tra esperti di varia formazione e competenza -disciplinaristi non meno che psicologi, neuroscienziati, architetti, informatici, economisti, oltre ovviamente a pedagogisti - potrà derivare la ridefinizione degli ambienti e dei metodi di apprendimento e quella degli ordinamenti (obiettivi di apprendimento, grado di personalizzazione, interdisciplinarità, durata degli studi, suddivisione in percorsi più o meno rigidi o modularizzati, certificazione dei risultati ecc.).

Non sembra condividere questa impostazione il noto studioso di storia della matematica ed esperto di formazione dei docenti Giorgio Israel, che in un vivace intervento pubblicato da Tuttoscuola (https://tuttoscuola.com/cgi-local/archivio.cgi?action=doc&ID=35637) sembra individuare una responsabilità primaria dei pedagogisti, che avrebbero in qualche modo rinunciato a far sentire e pesare la loro voce: “Se i pedagogisti si guardassero un poco attorno si renderebbero conto che del ruolo centrale che avevano nelle riforme scolastiche una trentina di anni fa non è rimasto quasi più nulla e il bastone di comando è passato nelle mani degli psicologi, dei neuropsichiatri, degli statistici e dei cosiddetti ‘economisti della scuola’”.

La preoccupazione di Israel è che questa rinuncia, quasi un ‘tradimento dei chierici’, comporti l’abbandono dei contenuti culturali dell’insegnamento per privilegiare “metodologie e tecniche di apprendimento/insegnamento il cui oggetto è del tutto irrilevante”. A suo avviso “il progetto della ‘buona scuola’ è l’espressione più avanzata di tale distruzione della dimensione culturale e conoscitiva dell’insegnamento”.

Il fatto è, ci sembra, che sono proprio i contenuti, l’oggetto dell’insegnamento, ad essere rimessi in discussione perché la multimedialità, la connettività e la crescente rapidità e facilità di accesso ai contenuti fa cadere le tradizionali barriere tra le diverse discipline e favorisce l’apprendimento per oggetti inter-disciplinari. Di questo, peraltro, ci sembra che non parli molto la ‘Buona Scuola’, che anzi appare ferma a contenuti e partizioni disciplinari che guardano più al passato che al futuro.


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