Quegli studenti traditi
Le scuole che non riaprono
Chiara Saraceno
La giornata internazionale dell’infanzia e adolescenza è venuta e passata. Tutte le autorità governative e istituzionali hanno svolto riflessioni pensose sui costi enormi che stanno pagando le bambine/i e adolescenti a causa delle restrizioni imposte per contrastare la pandemia. Eppure questi costi continuano a non essere all’ordine del giorno, a non entrare nell’agenda politica, tutta preoccupata di altre priorità e altri soggetti. Non è forse un caso che nel nostro paese ci si ostini a chiamare Recovery Fund il Fondo Next Generation EU, con un interessante, e preoccupante, mutamento di prospettiva: volta all’indietro, al recupero della situazione passata, non al futuro, alla costruzione di condizioni che rendano possibile il futuro delle giovani generazioni. Ne è una dimostrazione concreta l’assenza della scuola tra le attività e luoghi della cui riapertura si sta discutendo, delle bambine/i e adolescenti come soggetti che hanno diritto ad un risarcimento, anche se non monetario, di quanto hanno perso e stanno tuttora perdendo a causa di una scuola a scartamento ridotto, intermittente, e per i più grandi solo virtuale. Si discute di come allentare le maglie delle restrizioni per favorire gli acquisti di Natale e persino di come consentire l’apertura della stagione dello sci, ma tutto tace sulla questione scuola, in particolare per quanto riguarda gli istituti della media superiore, che sono a didattica a distanza totale ormai da settimane, senza distinzione tra zone gialle, arancioni e rosse. Visto che con il virus dovremo convivere ancora a lungo, questa assenza della riapertura delle scuole come tema cruciale e urgente, e la conseguente mancanza di programmi e iniziative concrete per renderla possibile, è disperante ed anche un po’ scandalosa. Come questa primavera, le bambine/i e adolescenti sembrano impunemente sacrificabili.
Chiunque abbia figli o lavori con i ragazzi sa bene come questa situazione stia erodendo fiducia e motivazioni, oltre ad allargare le disuguaglianze tra chi ha comunque un contesto familiare e abitativo favorevole e chi ne è privo. Le classi si stanno lentamente sfaldando e molti ragazzi/e stanno mettendo in atto un silenzioso processo di abbandono. La fiducia e l’attesa con cui molti erano tornati a scuola è stata vanificata non dalla pandemia, ma dalla sciatteria e disattenzione con cui (non) si è preparata la riapertura, nonostante le molte energie e tempo spese da insegnanti e presidi per riorganizzare spazi, arredi, modalità di entrata e uscita. Non è, infatti, solo una questione di spazi e di banchi. La lunga chiusura primaverile ed estiva non è stata utilizzata per affrontare sia la questione degli insegnanti, inclusa la disponibilità di supplenti, sia quella dei trasporti. Due questioni che, se non affrontate in modo sistematico, continueranno ad impedire una riapertura della didattica in presenza e a rendere difficoltosa anche quella che lo è. Come era prevedibile, la disponibilità di supplenti- o di un organico maggiore di quello necessario per riempire i posti di insegnamento ufficiali - è cruciale in una situazione in cui anche gli insegnanti, come tutti, possono ammalarsi, stare in quarantena per periodi più o meno lunghi, rimanendo a lungo assenti dalle proprie classi. La mancanza di supplenti fa sì che molte classi si trovino per diverse settimane senza insegnanti, nel migliore dei casi sottoposte ad un turbinio di insegnanti di altre classi che completano il proprio orario con qualche ora di supplenza. Ancora peggio va nelle medie superiori e, nelle zone rosse, anche in quelle di primo grado, dove la didattica è tutta a distanza e le supplenze non sono previste o comunque difficilmente praticabili in modo didatticamente efficace.
Analogamente non si sente più parlare di come riorganizzare orari e trasporti per evitare l’affollamento delle ore di punta. E non vi è nessuna garanzia di un sistema di tracciamento dei contagi efficace.
Il governo deve dire subito se intende o meno riaprire le scuole dopo Natale e come intende procedere, insieme a Regioni, Comuni, istituti scolastici, ciascuno per la propria parte di responsabilità, per impedire che si perda, di fatto, ancora un anno di scuola, al di là dei proclami e delle pensose riflessioni.