Quando a licenziare è lo Stato
Nel 2010 su duemila provvedimenti disciplinari contro dipendenti pubblici, in 105 hanno perso il posto
Non saranno tanti, ma ci sono eccome i licenziati nella pubblica amministrazione. Ovviamente, parliamo di licenziamenti disciplinari o per giusta causa. Perché fino ad ora nel pubblico così come nel privato il licenziamento «illegittimo» - tra cui quello individuale per ragioni «economiche» che verrà invece consentito dalla riforma Fornero per i dipendenti privati - veniva sanzionato 100 volte su 100 con il reintegro del dipendente nel posto di lavoro. Tuttavia, a leggere la relazione al Parlamento sullo stato della Pubblica Amministrazione del marzo del 2011 (il documento più recente disponibile) nel corso del 2010 sono stati in tutto 105 i dipendenti pubblici il cui procedimento disciplinare si è concluso con la sanzione più grave: la perdita del posto.
Il dato è parziale, chiariscono al Ministero guidato da Filippo Patroni Griffi, perché il mondo del lavoro pubblico è articolato su ben 35.000 amministrazioni diverse: nella Relazione ad esempio mancano i dati relativi a tutte le Regioni e a molti ministeri, tra cui quello grandissimo della Scuola. Anche per questo al Formez è stato dato l’incarico dal ministro di avviare un monitoraggio più ampio. Nel campione considerato i procedimenti disciplinari avviati sono stati 2265, di cui poi 172 sospesi perché era stato avviato un procedimento giudiziario. Dei 2093 che si sono conclusi (in media sono serviti 89 giorni) 491 sono finiti con l’archiviazione o il proscioglimento del dipendente; 950, quasi la metà, si sono chiusi con sanzioni minori; 544 con la sospensione del «travet» dal servizio; 105 con il licenziamento vero e proprio. Per la precisione, dei 105 licenziati 35 hanno perso il posto per assenze ingiustificate; 38 perché hanno commesso reati; 2 perché pizzicati a svolgere il doppio lavoro (e sono pochini pochini...). 30, infine, per non aver rispettato le disposizioni di servizio, negligenza, comportamento scorretto verso superiori, colleghi o utenti.
Insomma, non saranno numeri imponenti ma quel che conta, spiega Antonio Naddeo, capo del Dipartimento della Funzione Pubblica (carica mantenuta sia con Renato Brunetta che con Filippo Patroni Griffi) è che «nonostante quel che taluno dice, nel pubblico i licenziamenti sono possibili e si fanno. Certo, magari il ricorso ai licenziamenti disciplinari è un po’ meno intenso rispetto a quanto avviene nel privato, ma in questi anni con una attenta manutenzione delle norme si sono fatti grandi passi avanti». Ad esempio, prima in caso di arresto un dipendente pubblico vedeva sospeso il procedimento disciplinare fino al giudizio finale della magistratura; e se arrestato addirittura aveva diritto a una indennità pari a un quinto della retribuzione. Adesso, con una norma voluta da Brunetta, se ci sono elementi probatori si procede subito al licenziamento. E sempre il predecessore di Patroni Griffi ha varato la «mobilità obbligatoria» e la «messa a disposizione», che è la cosa che somiglia più di tutti alla classica Cigs del lavoro privato. Ideata nel 1993, la norma riveduta da Brunetta non richiede più un accordo sindacale, e prevede che nelle amministrazioni dove ci sia un eccesso di personale rispetto a quanto previsto nelle piante organiche (stabilite ufficio per ufficio con un provvedimento amministrativo, e diventate passando di manovra in manovra sempre più smilze e asciutte) il personale in eccesso sia «messo a disposizione» per 24 mesi. Il lavoratore riceverà per questo periodo l’80% dello stipendio (ma non integrativi e altri trattamenti salariali); sarà cura dell’amministrazione offrirgli un posto di lavoro in un altro ufficio, non necessariamente nella stessa città. Dopo un certo numero di rifiuti, scatterà il licenziamento.
Licenziamenti disciplinari e mobilità non bastano certo a soddisfare il ministro del Lavoro Elsa Fornero, che vorrebbe anche nel pubblico impiego i licenziamenti individuali senza la possibilità di reintegro nel posto. Una proposta tecnicamente impossibile, dicono gli esperti di pubblica amministrazione, che ricordano come per il dipendente pubblico le regole sulle assunzioni via concorso e l’indipendenza nello svolgimento del lavoro siano stabilite addirittura nella Costituzione. Neanche Naddeo concorda con Fornero: «Io sono stato assunto dopo aver superato due concorsi - spiega - non esiste che un ministro o un dirigente mi possa licenziare magari per ragioni politiche, e che se vinco il ricorso non possa recuperare il mio impiego». Vedremo. Certo è che per «stimolare» la produttività del personale, se si volesse, le regole già esistono: «In caso di scarso rendimento di un dipendente, - dice il capo del Dipartimento - la procedura che parte dalla contestazione scritta è chiarissima e lineare. Basterebbe che i dirigenti la applicassero». Allora, forse, per migliorare l’efficienza della Pubblica amministrazione sarebbe meglio cambiare certi dirigenti che i loro sottoposti.
Roberto Giovannini