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Province, tagli per 500 milioni “Così le scuole resteranno chiuse”

Per l’Upi la “sforbiciata” va rivista: calcoli sbagliati, riduzione di soli 176 milioni

24/07/2012
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La Stampa

RAFFAELLO MASCI

ROMA

Per l’Upi è a rischio l’inizio della scuola

Con i tagli che il governo ha previsto nella spending review non siamo nelle condizioni di poter assicurare l’apertura dell’anno scolastico». Così parla Giuseppe Castiglione, presidente dell’Upi, e un fremito passa nell’uditorio di giornalisti assiepati nel salone di palazzo Cardelli, sede dell’Unione delle province italiane. È la frase ad effetto a cui le Province affidano l’impatto mediatico della loro campagna non solo per non scomparire ma per non vedersi tagliare i fondi. Con Castiglione, presidente della provincia di Catania, ci sono anche i suoi omologhi di Torino, Antonio Saitta, e di Potenza, Piero Lacorazza. Domani, in Senato, l’Upi presenterà una serie di emendamenti - nove per l’esattezza agli articoli 16, 17 e 18 della spending review . Il senso è chiaro: non siamo qui per contestare gli accorpamenti che ribadisce Castiglione - siamo stati noi i primi a volere, ma il taglio delle spese: «Le Province subiranno, un taglio di 500 milioni di euro per il 2012 e di un miliardo di euro per il 2013 perché il Governo considera come consumi intermedi un totale di 3,7 miliardi di euro. In realtà questa cifra include voci di bilancio delle Province che non sono consumi aggredibili, bensì servizi» e questo provvedimento, se non venisse rivisto «porterà le Province al dissesto».

I consumi intermedi su cui intervenire è stato spiegato da Castiglione sono stati ottenuti dal Governo prendendo la spesa corrente e sottraendovi le spese per il personale e gli interessi ma il totale effettivo dell’ammontare dei consumi intermedi, escluse le spese per i servizi, è pari, per l’Upi, a 1,3 miliardi. «Parametrando 1,3 miliardi ai 500 milioni previsti dalla spending, il taglio reale dovrebbe essere pari a 176 milioni di euro per il 2012 invece dei 500 milioni previsti e 352 milioni di euro per il 2013, invece del miliardo previsto».

In sostanza il taglio andrebbe ridotto a un terzo di quello preventivato, altrimenti verrebbero a mancare servizi come la manutenzione delle strade, il trasporto pubblico locale, la formazione professionale e - soprattutto la sicurezza delle scuole, proprio alla vigilia dell’apertura dell’anno scolastico. «Non siamo in grado di garantire che i 5000 edifici scolastici che gestiamo possano iniziare l’anno scolastico», ha rincarato Saitta, secondo il quale «se il Governo non dovesse cambiare idea la metà delle Province andrà in dissesto finanziario: il commissario Bondi non ha considerato che noi svolgiamo funzioni che non sono tagliabili». L’allarme sulle scuole ha suscitato la reazionepreoccupata sia dell’Anp (l’associazione dei presidi) che dei genitori delle scuole cattolice (Agesc) ma, in realtà, le scuole italiane non erano sicure neppure prima dei tagli, tant’è che Cittadinanzattiva ha svolto una indagine in proposito nel 2011, secondo la quale «Il 28% degli edifici scolastici è del tutto fuorilegge, perché privo delle certificazioni e dei requisiti di base previsti dalla legge sulla sicurezza».

E comunque - sostengono i vertici dell’Upi - l’entità dei tagli è sbagliata nella sua articolazione, in quanto confonde voci di spesa e associa i servizi essenziali ai consumi intermedi. «Perché invece non si riescono ad intaccare le 3.127 società ed enti partecipati regionali che costano 7 miliardi l’anno? - si è chiesto Castiglione -. Due miliardi e mezzo è il costo dei soli Consigli di amministrazione». E poi fanno notare all’Upi - non è possibile accorpare le Province e riorganizzare le funzioni in soli 40 giorni «serve un tempo più congruo», e se il governo vuole ridurre le Province in così breve tempo, che si impegni a tagliare anche le sedi provinciali delle amministrazioni statali. I rappresentanti delle Province del Nord (Veneto, Lombardia e Piemonte) che si sono riuniti a Verona hanno fatto una proposta ancora più pressante sul governo: «Potremmo sfrattare quelle amministrazioni statali, come le Prefetture, che non pagano l’affitto alle Province».
 

 


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