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Prove INVALSI: e dalli con il termometro…

di Giorgio Israel

14/05/2015
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ROARS

Sono anni – non mesi – che vengono avanzate critiche argomentate e costruttive nei confronti dell’Invalsi: autoreferenzialità dell’ente sottratto a ogni valutazione e composto sempre dalle stesse persone, discutibilità dei metodi statistici e dei test proposti, eccesso di intervento con la prova per la secondaria di primo grado che fa media, sconsiderata incentivazione del deleterio “teaching to the test”, ecc.
A tanti sforzi si è sempre opposto uno sdegnoso commento: «Chi critica è solo uno che non vuol farsi valutare ed è contro il merito». L’Invalsi ha sgomitato soltanto per ottenere lo stesso potere che ha ottenuto l’Anvur nell’università, per ragioni che sarebbe interessante approfondire.
Ora l’Invalsi paga tale arroganza con il crollo della partecipazione ai test, senza contare che anche quelli compilati sono pieni di cose inattendibili: so direttamente di studenti italiani che hanno scritto che a casa loro la lingua corrente è il bulgaro o lo swahili e altre amenità …
Ma oggi su buona parte della stampa – in cui ogni voce anche moderatamente contraria non trova più spazio – si leva un grido unanime:

«È uno scandalo. Rifiutare i test Invalsi è come rompere il termometro quando si ha la febbre».

E giù prediche sulla valutazione e l’assenza di meritocrazia.
Ora, che questo lo faccia un personaggio che ha millantato due lauree e un master mai avuti e tante altre cosucce e che, mostrando impavido di non sapere e capire nulla di scuola, s’impanca – proprio lui! – a parlare di merito, dovrebbe essere considerato un fatto comico, se non fosse che il fatto che gli si dia credito è l’immagine più lampante di come davvero quando si pronuncia questa parola si fa soltanto retorica, e in modo sfacciato.

Giannino
Che parli di termometro il capo dei presidi italiani, si può anche capire. Lui questa frase l’ha sentita dire da personaggi che reputa di alta e indiscutibile competenza. Per esempio, da Roger Abravanel, il quale appare sostenuto da un network così potente da potersi permettere qualsiasi svarione – per esempio che l’università italiana è gratis, quando invece è una delle più costose d’Europa – senza pagare pegno. Tanto lui si è definito da solo l’incarnazione della “meritocrazia” e allora visto che è tanto influente quel che dice deve essere vero. Quella frase l’ha sentita dire poi da accademici propriamente detti, come il prof. Andrea Ichino che, ancor oggi, sul Corriere della Sera, ricanta la solfa del termometro.
Vorrei allora raccontare al riguardo un episodio di alcuni anni fa. Mi trovavo in una commissione ministeriale per la valutazione assieme a lui e una decina di altri componenti. Si accese proprio una discussione sui metodi di valutazione oggettivi e standardizzati, con il prof. Ichino che sosteneva accanitamente le metodologie tipo Invalsi, con i quiz ecc. Gli feci notare che parlare in questo ambito di oggettività era assolutamente improprio e che ogni parallelismo con la fisica (con le scienze dei fatti materiali) era assurdo: tale era il parallelismo con il termometro. Osservai che la fisica si distingue per una piccola cosuccia come la possibilità di definire unità di misura in modo tale da essere adottate in modo universale da chiunque senza possibilità di equivoci e contestazioni, insomma aventi carattere oggettivo. Tale era l’unità di lunghezza (metro, di cui esiste un campione universale di riferimento) e anche l’unità di temperatura, anche se a voler essere rigorosi, prima dell’avvento della termodinamica anche la temperatura non era considerata come una grandezza misurabile in modo oggettivo. Osservai:

«Se ci mettiamo a misurare il perimetro di questo tavolo ciascuno con un metro non truccato e garantito conforme allo standard, a parte piccoli scarti previsti dalla teoria della misura otterremo lo stesso risultato». E poi chiesi: «Nel campo della valutazione delle qualità immateriali quali sono le unità di misura? In particolare, quale sarebbe l’unità di misura delle competenze?»

Il collega ci pensò su un poco e poi sentenziò in modo netto:

«L’unità di misura delle competenze è il test».

Una risata omerica avrebbe dovuto accogliere una simile frase. Chiunque capisce che il test è anch’esso una costruzione immateriale, fabbricata da una persona o da un gruppo di persone con le proprie (rispettabili quanto discutibili) idee circa cosa sia la matematica, la letteratura, la storia ecc. Un’altra persona o gruppo di persone potrebbe avere idee diverse, anche opposte e degne di confronto. Per esempio, chi scrive ritiene che concepire la matematica come “problem solving” è non soltanto discutibile ma espressione di ignoranza crassa. Avrò ragione o torto ma ho buoni argomenti degni di essere discussi. Come è possibile costruire test di validità universalmente condivisa, oggettivi, su simili basi?
Una buona valutazione non può andar oltre un processo di confronto tra vedute diverse che miri al massimo possibile di condivisione e di equanimità nei giudizi; il che non è affatto la stessa cosa dell’oggettività.
Ora se siamo al punto che anche un rispettabile professore universitario coltiva una simile confusione di idee e straparla di oggettività e termometri, come se l’Invalsi potesse essere l’equivalente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, di che stupirsi? Questo è il pantano in cui stiamo affondando.


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