Professionalità docente a rischio
di Pippo Frisone
Nel novembre del 2009 prendeva corpo in modo organico un premeditato attacco ai dipendenti pubblici.
Col dlgs. n.150/09, meglio conosciuto come decreto Brunetta, si gettavano le base di una pseudo riforma della pubblica amministrazione che faceva perno su premialità e riconoscimento del merito da un lato , inasprimento delle sanzioni disciplinari e autoritarismo contrattuale dall’altro.
Obiettivo sbandierato, migliorare l’efficacia e l’efficienza del pubblico impiego.
Un ruolo non secondario veniva assegnato alla dirigenza.
La mancanza di risorse e il blocco dei contratti fino al 2014 ridimensionò fortemente quel disegno che in larga parte venne accantonato.
La scuola nonostante la riconosciuta specificità , rimaneva il comparto più numeroso e recalcitrante.
La Gelmini, messa all’angolo da Tremonti, s’inventò una sperimentazione sulla valutazione del merito degli insegnanti e delle scuole, di corto respiro per numero di partecipanti e per risultati raggiunti.
Accantonati merito e premialità, bloccati i rinnovi contrattuali, mortificata sempre più la contrattazione integrativa, tagliate le risorse e gli organici, a rischio gli scatti d’anzianità, rimaneva sul campo la faccia feroce di quella riforma, epigono d’una campagna mediatica contro i pubblici dipendenti- fannulloni, a più ripresa alimentata dall’ex ministro Brunetta .
Il maggior potere dato ai dirigenti in materia disciplinare si fece immediatamente sentire, a causa anche della sanzionabilità di quanti omettevano o trascuravano d’intraprendere l’azione disciplinare nei confronti dei loro dipendenti.
Nella scuola i dirigenti passarono dall’avvertimento scritto alla possibilità di comminare sospensioni fino a 10 giorni .
Quel che è poi accaduto in questi ultimi due anni è stato un incremento significativo e per certi versi preoccupante dell’azione disciplinare all’interno delle scuole.
Mentre prima il dirigente era più portato a mettere in primo piano la relazione educativa nei rapporti non patologici con i docenti , svolgendo spesso un ruolo di mediatore e pacificatore, ora non può fare a meno di mettere mano all’azione disciplinare.
Anche nei casi d’infrazioni lievi, spesso il primo approccio da parte del dirigente è la contestazione d’addebito pur avendo venti giorni a disposizione prima di avviare il procedimento.
Questo capita sovente nelle scuole in reggenza , nelle quali i rapporti interpersonali tra dirigente e docente sono molto distanti, spesso nemmeno si conoscono e le informazioni che passano non sempre sono di prima mano.
Affidarsi all’azione disciplinare garantisce di più il dirigente ma nello stesso tempo lo allontana dal suo antico ruolo di mediatore-educatore, burocratizzando i rapporti, lo costringe ad un ruolo rigido tra scilla e cariddi di un’utenza sempre più vociante ed esigente .
Ma quel che è più grave è che si travalica, senza tanti riguardi, quel sottile confine posto a difesa della libertà d’insegnamento e dell’autonomia professionale dei docenti.
Eliminati tutti gli organismi collegiali interni di garanzia, organismi di natura elettiva, formati da docenti per ogni ordine e grado di scuola, l’autonomia professionale degli insegnanti e la stessa libertà d’insegnamento sono messi in serio pericolo.
Tant’è vero che lo stesso Ministro nell’unica circolare applicativa , la n.88 pubblicata l’8.11.10 cioè un anno dopo l’entrata in vigore del dlgs.150, per ben tre volte raccomanda “ particolare attenzione sulla necessità di assicurare, da parte dei competenti uffici, che l’esercizio del potere disciplinare sia effettivamente rivolto alla repressione di condotte antidoverose e non a sindacare, neppure indirettamente, l’autonomia della funzione docente”.
Ecco un punto abbastanza controverso nella pratica quotidiana dell’azione disciplinare sia dei dirigenti scolastici sia dell’ufficio disciplina. Dove finisce la condotta antidoverosa ? dove comincia la libertà d’insegnamento e l’autonomia della funzione docente ?
Tutto ciò che realizza il processo d’insegnamento/apprendimento ( lezioni,compiti,valutazioni, interrogazioni, verifiche…), i processi di confronto, elaborazione, proposte sul piano-pedagogico-didattico all’interno degli organi collegiali, i contenuti stessi della prestazione professionale dei docenti, all’interno di un quadro ordinamentale definito dal sistema nazionale d’istruzione, dovrebbe non essere sindacato nemmeno indirettamente da chi esercita il potere disciplinare.
Nella realtà accade purtroppo il contrario. Basta una lettera ( e capita sempre più spesso) dei genitori o degli studenti, che prendono di mira un docente , accusato di non saper insegnare o tenere la disciplina in classe che subito scatta come un riflesso condizionato il procedimento disciplinare .
Sia l’Ufficio disciplina sia i singoli dirigenti in questi casi, aggirando completamente le norme e le raccomandazioni del ministro contenute nella CM.88/10 , ascrivono a comportamenti antidoverosi , metodi d’insegnamento o scelte di contenuti non graditi, troppo lassismo o troppa rigidità nel mantenimento della disciplina all’interno della classe, voti troppo alti o voti troppo bassi e via sindacando …. la prestazione professionale del docente.
La mancata applicazione della riforma Brunetta nella parte riguardante la valutazione della performance dei docenti e il merito ha determinato un vuoto anche sotto questo profilo.
Se a tutto ciò aggiungiamo le croniche carenze di organico del corpo ispettivo, cioè del solo personale oggi deputato a indagare sulla professionalità e sulle competenze dei docenti, ecco spiegate tutte quelle forzature che mischiano comportamenti antidoverosi e libertà d’insegnamento.
A questo vulnus occorre porre rimedio prima possibile.
Occorre superare quella logica che mette sullo stesso piano anche disciplinare il docente e il pubblico dipendente e che equipara la scuola a un qualsiasi pubblico ufficio.
Basta con Uffici disciplina formati soltanto da burocrati e funzionari dell’amministrazione.
Occorre ripristinare organismi di garanzia per una funzione come quella docente di sicuro rilievo costituzionale.
Lasciare le cose come stanno , vuol dire dequalificare ulteriormente le scuole e gli insegnanti, mettendo a serio rischio l’autonomia professionale e la stessa libertà d’insegnamento, garantita dalla Costituzione italiana.