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Prof in pensione e ricercatori in piazza. I corsi non partono

A Milano sciopero «limitato»: un giorno al mese

22/10/2010
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Corriere della sera

ROMA - In ritardo, a singhiozzo e con grandi buchi, sotto forma di corsi cancellati o spostati al secondo semestre. Ma dopo il rinvio della riforma Gelmini, l'anno accademico sta partendo in tutte le università italiane. Perché un avvio così faticoso? Mancano i soldi in cassa, molti professori vanno in pensione senza essere rimpiazzati con il record di Giurisprudenza a Roma, 27 uscite e zero assunzioni. Ma il problema più urgente è ancora la protesta dei ricercatori che, proprio per dire no alla riforma Gelmini, hanno deciso in massa di non fare lezione, rispettando alla lettera la legge che riserva la cattedra ai professori. In realtà qualche piccola crepa in un fronte finora super compatto si comincia a vedere. E riguarda due facoltà della Statale di Milano, Medicina e Agraria. Qui, per limitare il disagio degli studenti alle prese con un calendario pieno di buchi, i ricercatori hanno proposto di riprendere a fare lezione e limitare lo stop ad una sola, simbolica, giornata al mese. La decisione finale sarà presa lunedì dai consigli di facoltà. Ma, se arrivasse il sì, sarebbe un piccolo segnale in controtendenza. Nelle facoltà di Medicina e Agraria della Statale di Milano, i ricercatori hanno deciso di limitare lo stop delle lezioni (Nella foto la protesta al Dipartimento di Fisica)

Nel resto d'Italia i loro colleghi tengono ancora duro, e per far partire l'anno rettori e presidi hanno fatto i salti mortali. Alla Statale di Torino tutti i corsi tenuti dai ricercatori in «sciopero» sono stati rinviati al secondo semestre. In altri casi - come a Roma e Napoli - gli studenti che seguono la stessa materia in facoltà diverse sono stati uniti in un'unica classe. A Napoli - facoltà di architettura - hanno tagliato il numero di ore dei singoli corsi per usare gli stessi professori su più materie. Ma a volte non resta che alzare le mani e cancellare un corso. Astrofisica «tace» (cioè è stata soppressa) come si legge sulla bacheca della Sapienza. Alla Federico II di Napoli, facoltà di Scienze, è saltato un terzo dei complementari. Detto in soldoni le università italiane sono più povere. Ma i ricercatori non mollano e il perché lo spiega Alessandro Pezzella, riferimento a Napoli della Rete 29 aprile, la più battagliera tra le associazioni di ricercatori: «Dalla protesta contro la riforma stiamo passando alla protesta contro il disastro delle nostre università senza soldi».

Non è un caso, forse, che finora le cerimonie di inaugurazione dell'anno accademico si siano tenute solo a Campobasso e al Campus biomedico di Roma. «I rettori hanno paura che vengano utilizzate come palcoscenico per la protesta» dice Marco Merafina che con un'altra associazione, il coordinamento dei ricercatori, ha lanciato per primo lo sciopero della didattica. Cosa succederà adesso? «Non possiamo chiedere ai professori di non far partire le lezioni - dice ancora Merafina - perché sarebbe interruzione di pubblico servizio, un reato. Ma non ci possono nemmeno obbligare a salire in cattedra, perché stiamo solo applicando alla lettera una legge violata per 30 anni». Si parte, insomma, ma navigando a vista. Anche i ricercatori milanesi che vogliono tornare ad insegnare sono pronti ad un nuovo stop. Se non dovessero arrivare i soldi promessi da Tremonti o se in Parlamento dovesse ripartire la riforma Gelmini, loro diranno no alle lezioni del secondo semestre.

Lorenzo Salvia


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