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Precari e sottopagati, ecco i diplomati: il 44% dice di aver «sbagliato scuola»

A un anno dalla maturità, un ventenne può guadagnare 925 euro netti

21/02/2013
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il manifesto

Roberto Ciccarelli
L'apprendistato come unica soluzione alla precarietà giovanile? Un fallimento. Per l'Isfol i contratti di apprendistato sono crollati del 17% tra il 2009 e il 2011. Una tendenza confermata da un rapporto Unioncamere di inizio febbraio secondo il quale gli imprenditori preferiscono utilizzare la formula più semplice del primo contratto a tempo determinato e non l'apprendistato esteso fino ai 29 anni dalla riforma Fornero. Una realtà ribadita anche dal nuovo rapporto AlmaDiploma sulla condizione occupazionale dei diplomati a uno, tre e cinque anni dalla maturità.
Tra i diplomati 2011 che risultano impegnati esclusivamente in un'attività lavorativa (il 31% degli intervistati) la tipologia contrattuale più diffusa non è l'apprendistato, ma il contratto a tempo determinato. Tra i ventenni la quota degli assunti con contratti formativi è del 27%, mentre il 13% dei diplomati nei tecnici e nei professionali non ha un contratto regolare. Una quota che sale al 19% tra i liceali, cioé i ragazzi che hanno studiato materie scientifiche, linguistiche o umanistiche e hanno preferito non iscriversi all'università. Solo 15 su 100 sono assunti stabilmente.
Il data base di AlmaDiploma, unico in Italia, conferma la distanza tradizionale tra i diplomati dei tecnici-professionali e i liceali, ma registra una netta spaccatura anche tra i diplomati delle scuole professionali e quelli dei tecnici. Il 42% dei ragazzi che possiedono un titolo di studio nei tecnici sostiene di non utilizzare «per niente» le competenze acquisite durante gli studi. I diplomati nei professionali, invece, valorizzanomaggiormente ciò che hanno appreso a scuola: il 22,6% dichiara di utilizzare le competenze acquisite durante gli studi. Questo dato diventa ancora più interessante se si considera che il 90% dei diplomati nei professionali ha già effettuato uno stage in azienda, dandone peraltro un giudizio largamente positivo. Senza contare che una quota minoritaria, ma significativa, cioè il 19% ha lavorato anche durante il periodo della scuola. Ciò non basta però a garantire un'assunzione stabile e nemmeno uno stipendio decente. In media i neodiplomati guadagnano 925 euro mensili netti, dopo 5 anni il guadagno sale a 1.169 euro, uno stipendio simile ad un laureato assunto da un anno. Quasi nessuno lavora nel «pubblico»: dopo un anno 12 diplomati su cento. Dopo tre anni sono 8, dopo cinque 6 su cento.
Il campione analizzato da AlmaDiploma (29.231 diplomati del 2011, 12.339 diplomati del 2009, 6.786 diplomati del 2007) rappresenta la platea a cui si rivolgono la riforma Fornero, la triplice dei sindacati che ha sottoscritto un «documento d'intenti» con Confindustria, lo stesso Pd che vuole estendere l'apprendistato per tamponare la disoccupazione giovanile (al 32% tra i 15-24enni secondo AlmaDiploma, il 36,6% per l'Istat). Tutti sembrano ignorare, o comunque sottovalutare, la volontà delle imprese di non usare questo contratto e, in generale, di stabilizzare i giovani.
Una situazione che non può essere, evidentemente, addebitata alla scuola o all'università, colpevoli di non avere «professionalizzato» a sufficienza la loro «offerta formativa». E tantomeno ai ragazzi che nell'indagine AlmaDiploma dimostrano di essere preparati e pronti ad applicare le competenze acquisite sul lavoro.
Precari, pagati poco di più di un salario di sussistenza, che non svolgono un lavoro coerente con gli studi effettuati, il 44% dei diplomati 2011 sostiene di avere sbagliato scuola. Nel 40% dei casi si dichiara pentito della scelta. Davanti a loro c'è un muro difficile da aggirare, anche per chi ha seguito alla lettera i criteri indicati dalle forze di governo, dai «tecnici», come dal senso comune: scegliere a 14 anni il lavoro da fare per tutta la vita, rinunciando alle illusioni che potrebbe dare la laurea.
Per il direttore di Almalaurea Andrea Cammelli, curatore dell'indagine, il malcontento rispetto alle scelte formative iniziali si sta acutizzando non solo tra i tecnici, ma anche tra i diplomati professionali, coloro che invece dovrebbero essere più soddisfatti di tutti. «In tempi di crisi - ha detto - bisogna investire sul capitale umano, non tagliare su tutto». Ma se poi le aziende non assumono?


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