Pochi iscritti all'università e difficoltà di comprensione: tutte le ombre dell'istruzione italiana nel rapporto Ocse 2015
Poche le buone notizie nel dossier Education at a Glance 2015. Nella maggior parte delle graduatorie il nostro Paese è nella parte bassa
Corrado Zunino
L'aggiornamento Ocse sullo stato dell'istruzione italiana, comparato con i 34 paesi più industrializzati del mondo, ci dà subito una buona notizia. Nell'istruzione terziaria, l'Italia associa alti tassi di laureati di 2° livello (chi conclude il doppio ciclo 3 anni più 2), ma, e la controindicazione negativa è subito in agguato, ci sono pochi diplomati su programmi di studio legati a professioni - l'alta formazione professionale - e pochi laureati di 1° livello (la triennale).
Education at a Glance 2015, il dossier Ocse su scuola e università, ci dice che il 20% dei giovani italiani prende una laurea completa, tre punti in più della media Ocse. Chi programma di laurearsi, ecco, alla fine lo fa. Il problema è che siamo abbondantemente sotto la media su chi programma di laurearsi: solo il 42% dei diplomati si iscrive "all'università", siamo terzultimi dopo il Lussemburgo e il Messico. Tra laurea breve, completa, magistrali portiamo al terzo livello d'istruzione il 34% dei ragazzi italiani (uno su tre) quando la media Ocse è uno su due.
Allo stesso tempo, le università italiane attirano pochi studenti stranieri. Nel 2013, meno di 16.000 studenti stranieri degli altri 34 Paesi risultava iscritto a un ateneo italiano (il gruppo più rilevante proveniva dalla Grecia) rispetto ai 46.000 studenti stranieri in Francia e ai 68.000 in Germania. E il calcolo sovrastima le cifre degli studenti internazionali che vengono da noi perché l'Italia conta anche gli immigrati permanenti mentre la Francia e la Germania riportano solo il numero di studenti che si sono trasferiti all'estero con lo specifico scopo di studiare. Una università su cinque, per superare la barriera linguistica, ha proposto almeno un programma d'insegnamento in lingua inglese.
Nel 2014, in Italia, solo il 17% degli adulti (25-64 anni) era titolare di una laurea, percentuale simile a quelle del Brasile, del Messico e della Turchia. In questi tre Paesi la differenza tra i redditi dei laureati e quelli degli adulti che hanno conseguito solo un diploma è più alta rispetto alla media dell'Ocse (160%), in Italia i redditi dei laureati sono superiori solo del 43%. E anche sul fronte dell'occupazione le cose vanno meno bene rispetto ai paesi pari grado: nel 2014 il 62% dei laureati tra 25 e 34 anni era occupato in Italia, 5 punti in meno rispetto al tasso di occupazione del 2010. Questo livello è paragonabile a quello della Grecia ed è il più basso tra i Paesi dell'Ocse (la cui media è dell'82%).
L'Italia e la Repubblica Ceca sono i soli Paesi dove il tasso di occupazione tra 25 e 34 anni è più basso (di poco) tra i laureati che tra i diplomati. Il tasso di occupazione è particolarmente basso per i 25-34enni con un livello d'istruzione terziaria, con genitori non laureati e che hanno meno probabilità di accedere a una rete di relazioni sociali estesa per trovare un lavoro. "La prospettiva di un ritorno d'investimento relativamente basso e incerto, dopo un lungo periodo trascorso nel sistema dell'istruzione", si legge, "potrebbe spiegare l'interesse limitato dei giovani italiani ad intraprendere gli studi universitari".
Il 35% dei 20-24enni non ha un lavoro, non studia, né segue un corso di formazione: i cosiddetti Neet, la seconda percentuale più alta dei Paesi Ocse. Tra il 2010 e il 2014, i tassi di occupazione hanno registrato un brusco calo per questa fascia di età (dal 32% al 23%), ma la quota dei 20-24enni che continua a istruirsi è rimasta stabile al 41%: "Per i giovani che hanno difficoltà a trovare un lavoro, la prospettiva di proseguire gli studi è raramente considerata come un investimento che potrebbe migliorare le loro opportunità di successo sul mercato del lavoro".
L'Ocse registra anche la qualità dei laureati italiani e rivela che molti "hanno difficoltà a sintetizzare le informazioni provenienti da testi complessi e lunghi". Spesso i titoli di studio non coincidono con l'acquisizione di competenze solide. Da qui, anche, la difficoltà a trovare un lavoro. L'Italia, con la Spagna e l'Irlanda, ha registrato uno dei punteggi più bassi in termini di lettura e comprensione (literacy) dei 25-34enni titolari di un diploma universitario
Ancora, in Italia, nel 2012, le istituzioni dell'istruzione terziaria hanno speso 10.071 dollari statunitensi per studente: due terzi della spesa media Ocse. E' lo 0,9% del Pil nazionale, con un leggero aumento rispetto al livello di spesa dello 0,8% registrato nel 2000. Meno di noi spende il Lussemburgo. Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia, Stati Uniti hanno dedicato intorno al 2% all'istruzione terziaria.
In Italia il corpo docente è più anziano rispetto a quello di qualsiasi altro Paese industrializzato: nel 2013 il 57% di tutti gli insegnanti della scuola primaria, il 73% degli insegnanti della scuola secondaria superiore e il 51% dei docenti dell'istruzione terziaria avevano compiuto o superato 50 anni. Allo stesso tempo gli insegnanti in Italia guadagnavano meno rispetto a lavoratori con un livello d'istruzione simile. Per esempio, nel 2013, gli insegnanti di età compresa tra 25 e 64 anni nella scuola pubblica secondaria inferiore guadagnavano due terzi del salario medio dei lavoratori con qualifiche comparabili. Inoltre, i salari degli insegnanti
- e questa è una considerazione antecedente al varo della Buona scuola, legge dello scorso luglio - "sono principalmente collegati all'anzianità e non valorizzano le prestazioni di eccellenza, come per esempio in Finlandia e in Francia".