Più didattica a distanza: alle superiori si va verso il 100%
L’ennesimo braccio di ferro sulla scuola fa avanzare ancora un pò la quota di didattica a distanza, che, come ha annunciato, ieri, in Parlamento il premier, Giuseppe Conte, potrà salire dall’«almeno 75%» del precedente Dpcm al 100% nelle scuole superiori
Claudio Tucci
L’ennesimo braccio di ferro sulla scuola fa avanzare ancora un pò la quota di didattica a distanza, che, come ha annunciato, ieri, in Parlamento il premier, Giuseppe Conte, potrà salire dall’«almeno 75%» del precedente Dpcm al 100% nelle scuole superiori (ciò significa che quando entrerà in vigore il nuovo provvedimento del governo, per qualche settimana, se non tutti, quasi, i circa 2,6 milioni di studenti delle secondarie di secondo grado passeranno al pc da casa - sarà comunque dato del tempo aggiuntivo, la scorsa volta però appena 24 ore, agli istituti per modificare un’altra volta la propria organizzazione).
Le lezioni da remoto potrebbero - ma il condizionale è ancora d’obbligo - interessare anche il primo ciclo, a seconda della situazione epidemiologica della regione dove si trovano, sulla base dei 3 scenari ipotizzati dal presidente del Consiglio: se il quadro si mostra particolarmente grave, con indicatori sanitari oltre una determinata soglia, andranno on line anche seconda e terza media (la Campania, al momento, si è spinta oltre mettendo in didattica integrata a distanza l’intero primo ciclo, incluse quindi infanzia e primaria).
Gli ultimi nodi saranno sciolti (forse) dal nuovo Dpcm in via di emanazione da parte del governo, che ieri, tuttavia, su pressing delle Camere, si è impegnato a garantire la didattica in presenza in tutti i territori in cui la diffusione dei contagi non risulti fuori controllo e a proteggere in particolare le fasce di età più piccole, a partire dai nidi fino alla scuola secondaria di primo grado.
I presidi, costretti all’ennesimo nuovo sforzo organizzativo, sono sul piede di guerra: «La sospensione della didattica in presenza non sarà senza conseguenze - ha detto Antonello Giannelli, a capo dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi -. Dobbiamo essere consapevoli del prezzo sociale che pagheremo noi tutti e di quello individuale che pagheranno gli studenti: sarà elevato e, purtroppo, ce ne renderemo conto nei prossimi anni».
All’interno della maggioranza, anche Iv è perplessa: «La scuola deve essere l’ultima a chiudere e, se si chiude, deve essere per un tempo limitato utile a creare le condizioni perché sia la prima a riaprire - ha spiegato l’ex sottosegretario, Gabriele Toccafondi, ora capogruppo di Italia Viva in commissione Cultura alla Camera -. Per milioni di ragazzi fare didattica a distanza significa non fare niente, perché mancano gli strumenti informatici necessari, la connessione, non tutto il personale è adeguatamente formato. Per gli 1,3 milioni di studenti degli istituti tecnici e professionali le lezioni da remoto comportano il sacrificio di gran parte delle attività in laboratorio e la formazione professionale regionale verrebbe ancor più penalizzata».
Secondo gli esperti, per i circa 2,6 milioni di ragazzi delle superiori la didattica a distanza significa erogare più di 4 milioni di ore a settimana. Per quelli delle medie (delle aree dove i dati clinici sono più gravi) vuol dire aumentare i disagi per scuole e famiglie, specie se si tratta di alunni fragili.
La ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, sta battagliando per mantenere il più possibile in presenza le lezioni. Ieri ha distribuito alle scuole gli 85 milioni di euro previsti dal decreto Ristori che consentiranno l’acquisto di oltre 200mila nuovi dispositivi digitali e oltre 100mila connessioni. Da marzo sono stati già 432.330 i dispositivi acquistati e oltre 100mila le connessioni. Le scuole hanno comprato device e tecnologie anche con i 331 milioni erogati per la ripresa a settembre; e poi hanno in dotazione nei laboratori 1,2 milioni di dispositivi già utilizzati durante il lockdown.