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Più cattedre e soldi così Blair impostò la sua rivoluzione

Ecco quindi che cosa deve fare il presidente del Consiglio.

26/02/2014
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La Stampa

Vittorio Sabadin

Tony Blair, per tante ragioni, non è più molto popolare inGranBretagna, ma Matteo Renzi lo considera giustamente un modello da imitare per quanto riguarda la riforma della pubblica istruzione. Ne parla in continuazione, come faceva l’ex premier britannico, che coniò nel 1996 il semplice slogan «Education, Education, Education» al congresso del partito laburista di Blackpool. Entrato a Downing Street l’anno dopo, Blair mise l’istruzione al primo posto della sua agenda e fece preparare da persone molto competenti, come il ministro David Blunkett, senza il quale nulla sarebbe stato possibile, un piano di cambiamenti rivoluzionario. La scuola inglese languiva nella centenaria divisione tra pubblico e privato, tra chi aveva i soldi e chi no. Mancavano finanziamenti alle scuole pubbliche, gli edifici vittoriani cadevano a pezzi, gli insegnanti erano frustrati e mal pagati, gli studenti imparavano pochi concetti malamente. Sembrava l’Italia di oggi, alla quale Renzi vuole dare una scossa. Ecco quindi che cosa deve fare il presidente del Consiglio. Blair, un anno dopo l’insediamento, fece assumere 35.000 insegnanti in più rispetto a quelli in servizio nel 1997 e ne aumentò la retribuzione del 18% in termini reali. Il salario dei presidi crebbe del 27% e la spesa corrente per l’istruzione salì di 8 volte. Vennero assunti 170.000 assistenti scolastici (come l’intero esercito), non semplici custodi e bidelli, ma educatori preparati. Nelle scuole medie il rapporto tra adulti e allievi salì a un adulto ogni 11 allievi.Vennero rinnovati più di 1000 edifici e la spesa per l’istruzione crebbe al 5,7 del Pil britannico. Dopo 10 anni, i test scolastici che raggiungevano gli standard previsti passarono dal 63%al 79%in lettura e dal 62%al 76%inmatematica. Questa rivoluzione ha contribuito a tenere Blair in sella per dieci anni.Ancora nel 2005 parlava di migliorare ulteriormente la scuola, perché la riforma dell’Istruzione non si fa una volta ogni tanto: è un’attività permanente, che deve adeguarsi sempre – diceva - ai cambiamenti della società.


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