Perché l’ANAC non salverà l’università italiana dalla corruzione
L’Autorità Nazionale AntiCorruzione (ANAC) ha di recente approvato l’aggiornamento del Piano Nazionale Anticorruzione, dedicando un intero capitolo alle università.
Alberto BAccini
L’Autorità Nazionale AntiCorruzione (ANAC) ha di recente approvato l’aggiornamento del Piano Nazionale Anticorruzione, dedicando un intero capitolo alle università. Il sistema universitario italiano è andato incontro ad una progressiva centralizzazione in capo al Ministero e soprattutto all’ANVUR. Malgrado questo ANAC si dimostra più preoccupata dei rischi di corruzione nella periferia che nel centro del sistema, cui infatti dedica solo 6 pagine su 30. Una parte corposa del documento ANAC riguarda le procedure di reclutamento dei professori. Si tratta del tema più scottante, quello cui l’opinione pubblica appare più sensibile. ANAC suggerisce interventi sul tema dei concorsi che appaiono inadeguati in relazione ai rischi corruttivi riferiti alle procedure svolte al centro del sistema (l’abilitazione scientifica nazionale) e di dubbia efficacia in relazione ai concorsi locali. D’altra parte il documento di ANAC si iscrive in pieno nella linea di intervento su università e ricerca volta limitare al massimo il peso del giudizio scientifico degli esperti nei processi di valutazione, sostituendolo con una macchina burocratica pervasiva. E’ triste, ma non saranno le indicazioni di ANAC a salvare l’università italiana dalla corruzione.
Nazionale AntiCorruzione (ANAC) ha di recente approvato l’aggiornamento del Piano Nazionale Anticorruzione, dedicando un intero capitolo alle università. Questo documento è in molte parti nettamente migliorato rispetto alla bozza sottoposta a consultazione la scorsa estate e che aveva sollevato moltissime critiche nel mondo universitario [anche su roars: qui, qui, qui e qui] .
L’impressione generale che si ricava dalla lettura è che ANAC si sia concentrata più sui rischi di corruzione nella periferia, cioè negli atenei, che sui rischi associati alle attività svolte al centro. A partire dalla legge Gelmini il sistema universitario italiano è andato incontro ad una progressiva centralizzazione delle funzioni in capo al Ministero e soprattutto all’ANVUR, l’agenzia nazionale di valutazione. In particolare sono state concentrate nell’ANVUR tutte le attività di valutazione della ricerca, i cui risultati sono usati per la distribuzione dei finanziamenti, le funzioni connesse all’abilitazione scientifica dei professori, le attività di assicurazione della qualità della didattica, e da ultimo anche il FFABR, la valutazione dei singoli ricercatori per la distribuzione a ciascuno di 3.000€ per ricerca. Si tratta di un modello che non ha uguali nel mondo occidentale e che concentra intorno a MIUR/ANVUR attività che in altri paesi sono svolte da molti soggetti diversi indipendenti dal governo. Colpisce quindi vedere che delle 30 pagine che ANAC dedica all’università, soltanto 6 considerino i rischi di corruzione al centro del sistema.
Una parte corposa del documento ANAC riguarda le procedure di reclutamento dei professori. Si tratta del tema più scottante, quello cui l’opinione pubblica appare più sensibile. Come abbiamo scritto qualche tempo fa, la riforma del reclutamento è stata sbandierata come la soluzione a tutti i problemi di nepotismo e corruttela, ma si è infranta sugli atti della procura della Repubblica di Firenze: per la prima volta sono state applicate misure interdittive e anche gli arresti domiciliari per decine di docenti di diritto tributario, accusati di aver pilotato l’intera abilitazione scientifica nazionale del settore, oltreché concorsi in singoli atenei.
ANAC suggerisce interventi sul tema dei concorsi che appaiono inadeguati in relazione ai rischi corruttivi riferiti alle procedure svolte al centro del sistema (l’abilitazione scientifica nazionale) e di dubbia efficacia in relazione ai concorsi locali. Per quanto riguarda l’abilitazione scientifica nazionale, ANAC si limita a segnalare il tema del conflitto di interesse nelle procedure di classificazione delle riviste, e non vede i pericoli di cattive condotte indotti dalle regole per diventare commissari nell’abilitazione. Come il caso fiorentino ha mostrato in modo inequivocabile, essere commissario nella procedura di abilitazione permette di esercitare un notevole potere sul settore scientifico di riferimento. Per diventare commissario è però necessario superare alcuni parametri bibliometrici, riferiti al numero di pubblicazioni e di citazioni ricevute, che sono stabiliti dall’ANVUR. Per superare quei parametri si possono mettere in pratica molti trucchi: si può per esempio chiedere (o imporre) a colleghi di figurare come autore dei loro lavori; ci si possono scambiare vicendevolmente citazioni, fino a costruire veri e propri circoli citazionali. Giulia Presutti ha documentato di recente per la trasmissione Report il caso di un commissario che aveva superato i parametri semplicemente autocitando i suoi lavori. Queste cattive pratiche non hanno solo l’effetto di sfavorire docenti che continuano a svolgere il loro lavoro con integrità, ma inquinano in modo incontrollabile e permanente la letteratura scientifica. Questo inquinamento è oggetto di crescente preoccupazione della comunità scientifica internazionale, ma ANAC non pare ritenerlo rilevante.
Per quanto riguarda le procedure locali, ANAC individua il problema nel fatto che i vincitori dei concorsi sono in prevalenza candidati interni. Per superare il problema ANAC si concentra sulla formazione delle commissioni che dovrebbero essere in prevalenza costituite da professori esterni all’Ateneo, magari sorteggiate. L’idea sottostante è che una commissione “locale” tende a premiare i candidati interni più di quanto farebbe una commissione esterna. Anche in questo caso ANVUR non focalizza se non marginalmente un dato di fondo: sono le regole vigenti che spingono i dipartimenti e gli atenei a preferire vincitori locali, perché un interno costa meno di un esterno. Per capirsi, un professore ordinario reclutato dall’esterno costa ad un ateneo italiano 1 punto organico, cioè l’intero stipendio; promuovere a ordinario un professore associato costa solo 0,3. Un ateneo che recluta un professore associato esterno spende 0,7; se promuove un ricercatore spende 0,2. Con le risorse risparmiate scegliendo un interno si possono assumere assegnisti e ricercatori a tempo determinato che svolgono le stesse funzioni del personale di ruolo. Poco importa se questi saranno espulsi dal sistema della ricerca e finiranno in gran parte a ingrossare le fila dei cervelli in fuga. Pensare di risolvere il problema dei vincitori locali dei concorsi senza modificare gli incentivi economici, ma limitandosi a modificare la formazione delle commissioni e a proceduralizzare ulteriormente l’asfissiante burocrazia universitaria, è pia illusione. E resterebbe in ogni caso da risolvere la questione per quegli atenei che hanno adottato regolamenti di concorso a “statuto speciale” in cui la commissione non può indicare un vincitore, ma deve indicare una rosa di nomi da cui il dipartimento sceglie. Quale consiglio di dipartimento sceglierà un esterno quando con le stesse risorse si possono premiare 2-3 interni e pagare un ricercatore a tempo determinato?
Negli stessi giorni in cui ANAC licenziava il suo documento, l’Accademia delle scienze francese, la Royal Society Britannica e la tedesca accademia Leopoldina hanno pubblicato un documento congiunto dedicato proprio al tema del reclutamento accademico. Ecco la raccomandazione principale:
“La valutazione deve esser basata sulla revisione dei pari messa in atto da esperti che lavorino secondo i più i più elevati standard etici e deve focalizzarsi sui meriti intellettuali e sui risultati scientifici. I dati bibliometrici non devono essere usati come sostituti della valutazione degli esperti. E’ essenziale che i giudizi siano ben fondati. L’enfasi eccessiva sui parametri quantitativi può danneggiare seriamente la creatività scientifica e l’originalità. Gli esperti devono essere considerati una risorsa preziosa”.
L’Italia ha tempo intrapreso una strada diametralmente opposta a quella indicata in questo documento: tentando di limitare al massimo il peso del giudizio scientifico degli esperti nei processi di valutazione, e sostituendolo con una macchina burocratica pervasiva. E’ triste, ma non saranno le indicazioni di ANAC a salvare l’università italiana, e purtroppo neanche dalla corruzione.