Per una scuola laica all'altezza della crisi
di Gennaro Lopez, da Proteo Fare Sapere
La crisi che stiamo attraversando pone qualche domanda anche sulla scuola, sulle sue finalità, sul suo modo d'essere? E queste domande attengono anche alla laicità dei saperi, dell'educazione, della formazione?
Da parte mia rispondo affermativamente, ma provo a motivare la risposta positiva seguendo (e proponendo) il filo di un ragionamento.
Intanto, rifletto sulla parola “crisi”, ossessivamente e mediaticamente ripetuta, sempre e soltanto in chiave negativa. E' paradossale e amaramente ironico -date le circostanze- che per recuperare al termine una valenza positiva (o almeno neutra) ci si debba rifugiare nell'etimologia greca e ricordare che κρίνω può tradursi con “valuto, giudico” e κρίσις con “scelta”. Ecco, dunque, a che cosa siamo chiamati per trovare risposte e vie d'uscita alla crisi: al giudizio e alla scelta.
Infatti, nel momento in cui si va sempre più diffondendo la consapevolezza che ci troviamo a fare i conti con una “crisi di sistema” (che si manifesta sotto molteplici aspetti: in particolare quelli economici, ecologici ed etici), sempre più urgente ci appare la necessità di scegliere un nuovo e diverso modello di sviluppo e, di conseguenza, nuovi e diversi stili di vita, nuovi e diversi rapporti tra uomo e ambiente, tra uomo e natura.
Se così è -ma non c'è dubbio che così stiano le cose- domandiamoci pure dove, se non a scuola, si acquisisce la capacità di giudicare, valutare criticamente; dove, se non a scuola, si comprende in che cosa consiste la nostra libertà di scegliere consapevolmente e responsabilmente.
La buona scuola ha sempre perseguito queste finalità educative, ma con evidente e crescente affanno negli anni che hanno visto affermarsi ed espandersi un'ideologia mercatista tesa ad insinuare e man mano diffondere, nelle culture di massa, dogmi (del tipo: “il mercato ha una sua intrinseca razionalità ed il suo principio regolatore coincide con la tendenza al massimo profitto nel minor tempo possibile” … ma non è quel che un tempo definivamo “avidità”?), superstizioni (del tipo: “il mercato si regola da sé: ad ogni ciclo economico negativo ne segue sempre uno positivo”) e credenze (del tipo: “lo sviluppo economico è legato ad una crescita dei consumi”).
Dogmi, superstizioni, credenze che -non possiamo negarlo- hanno inciso negativamente per anni ed anni sugli stessi processi educativi e formativi, rappresentando l'esatto opposto di ciò che dovrebbe dare senso e sostanza ad una cultura (e, dunque, ad una scuola) che possa definirsi “laica”. D'altra parte, quel che è venuto a maturazione sul piano culturale (delle culture e dei conseguenti comportamenti di massa, intendo) negli ultimi decenni, è sotto gli occhi di tutti, è stato ampiamente e da più parti analizzato, viene perciò solo sommariamente richiamato in questa sede.
Ma il richiamo è necessario perché colloco precisamente in questo contesto il tema di un auspicabile, urgente recupero e rilancio della laicità dell'istituzione-scuola.
Recupero e rilancio che passino attraverso un complessivo ripensamento dei rapporti tra laicità e saperi/conoscenza, tra laicità e ricerca, tra laicità e didattica.
Stiamo probabilmente assistendo al tramonto di una civiltà o, quanto meno, al passaggio da una ad altra fase storica. Quello che -come sembra- stiamo per lasciarci alle spalle è un lungo periodo, una “fase”, appunto, vissuta -almeno in questa parte del mondo- all'insegna dello sviluppo senza limiti (a fronte di un sistema di risorse finito!), del produttivismo e del consumismo intesi come valori in sé. Simile ad un'onda di tsunami che si ritrae, questo tramonto di fase sta lasciando, proprio sotto i nostri occhi, detriti, rovine, relitti (dico per inciso, a questo proposito, che non a caso vediamo riaffiorare, sempre più spesso e diffusamente, fenomeni di razzismo, di negazionismo storico, di fondamentalismo religioso). L'urgenza è perciò quella di non finire sotto le macerie di una crisi economica che è, prima ancora, una crisi politica e, soprattutto, morale.
Il futuro -si dice, in riferimento soprattutto alle più giovani generazioni- non offre certezze. Ed è vero. Ma personalmente mi ostino a non considerare come disvalori o solo in chiave negativa i dubbi e gli interrogativi esistenziali derivanti da prospettive future assolutamente incerte e perciò inquietanti. Al contrario, sono convinto che dubbi e interrogativi possano rappresentare il terreno fertile per dare vita ad una positiva “revisione antropologica” della nostra società.
In questo senso, alcuni processi di trasformazione, in atto da più o meno tempo, dovranno necessariamente condizionare il modo d'essere della scuola, di quella scuola chiamata a formare cittadini capaci -come s'è detto- di giudicare criticamente al fine di compiere scelte consapevoli e responsabili.
La società globalizzata, comunque la si giudichi, resterà certamente a lungo nel nostro orizzonte. Di qui la necessità di concepire l'intercultura come uno dei fondamenti pedagogici e didattici della scuola dell'oggi e del domani: imparare a gestire l'incontro e la relazione con le alterità è e sarà condizione imprescindibile per la formazione del cittadino, secondo un'idea di cittadinanza che riconosce la differenza, che promuove la relazione tra diversi, nella laica consapevolezza che la nostra visione del mondo non è l'unica possibile e che le culture non sono qualcosa di organico e chiuso in sé (presupposto, questo, dei vari fondamentalismi attualmente in voga), ma attraversano processi di trasformazione e di adattamento continui.
Perciò una scuola pubblica e laica è davvero tale se sa nutrire la sua azione educativa di un sano relativismo, ovvero di anti-dogmatismo, di apertura all'alterità, di capacità autocritica, di disponibilità al dialogo.
Se dovessi compendiare in una formula la “paideia” di cui avverto tutta l'urgenza, adotterei quella di “nuovo umanesimo”, un umanesimo che proprio dalla capacità di relazione con l'alterità sappia ricavare la cultura del limite, della solidarietà, della condivisione, del dono, mettendo in mora l'individualismo egoistico ancora imperante (con tutti i suoi derivati) e dando nuovo senso alle parole “sviluppo” e “progresso”.
Oggi come non mai la scuola deve preparare a ciò che non ha ancora un volto e deve farlo con la capacità di dar vita a inediti intrecci tra passato e presente, tra presente e futuro, tra memoria e progetto. Trovo esattamente in questo il motivo per il quale la scuola non può che essere compiutamente “laica”, vale a dire non solo formalmente garante di un reale, effettivo pluralismo, ma culturalmente e fattivamente impegnata a promuovere l'uso dell'umana ragione.