Per l'università i soldi pubblici non crescono, così saranno distribuiti 6,9 miliardi
Finanziamenti fermi, la quota premiale resta al 20 per cento ma ogni ateneo può scegliere i campi dove vuole essere valutato. Gli studenti: "Il Sud a rischio"
Corrado Zunino
soldi sono sempre gli stessi: poco meno di 7 miliardi. L’università che s’apre alla terza tornata del governo Renzi non aumenta i finanziamenti pubblici, ma neppure accentua il suo profilo premiale, aggettivo gradito al ministro Stefania Giannini. Piuttosto, dal 2017 i “premi” saranno dati anche in base a indicazioni delle stesse università: l’autonomia degli atenei cresce, e questo è un fatto positivo. E’ partito in questi giorni, ecco, il viaggio più importante per il sistema accademico italiano: lo Stato assegnerà i 6,921 miliardi – due milioni in meno dell’anno scorso – alle 85 università italiane statali e no.
Il decreto con i criteri di ripartizione è stato inviato ai quattro istituti contemplati dalla legge e prevede, innanzitutto, che la quota premiale per gli atenei più efficaci, produttivi, impegnati resti al 20 per cento (vale 1,4 miliardi): nel 2009, ricordiamo, il "premio" era il 7 per cento del totale, nel 2012 il 13,9 per cento. La crescita si ferma seconda una bozza che, comunque, non è ancora legge: la novità è che nella prossima stagione gli indicatori per assegnare il premio saranno scelti dalle singole università su un panel offerto dal ministero dell’Istruzione. Ogni ateneo potrà farsi valutare in relazione alla propria strategia di sviluppo: ricerca, didattica, l’internazionalizzazione. Il ministero li misurerà sui risultati acquisiti in ogni ambito strategico e sui miglioramenti ottenuti con cadenza annuale. E’ un tentativo, sostengono al Miur, di non premiare solo e soltanto le grandi università forti sulla ricerca.
Nel decreto sulla Programmazione triennale sono state semplificate le possibilità di reclutamento dei vincitori di programmi europei Erc: potranno essere chiamati dalle università sia come ricercatori che come professori universitari. Ancora, agli atenei viene concessa una maggiore flessibilità nella costruzione dei percorsi di laurea: potranno innovare i loro corsi con margini di libertà, “avvicinarli al mondo del lavoro”.
Aumentano gli stanziamenti per i dottorati e le borse post lauream: da 112,9 milioni a 135, il 60 per cento di queste risorse sarà riservato al lancio dei “dottorati innovativi” previsti dal Piano nazionale della ricerca. Il 10 per cento dei 59 milioni del Fondo giovani dovrà servire a incentivare la mobilità internazionale degli stessi dottorandi. Sono confermati i 5 milioni per il bando Montalcini, destinato al rientro di studiosi dall'estero. Viene rinnovato un cofinanziamento (10 milioni) per chiamate dirette, nuovi ricercatori di tipo B e incentivi alla mobilità dei docenti. Aumenta il peso del costo standard, che quest’anno passa dal 25 al 30 per cento. Restano gli interventi perequativi per non penalizzare alcuni atenei: il decreto prevede che ogni università non perda più del 2,5 per cento della quota assegnata nel 2015 (l’anno scorso, tuttavia, era il 2 per cento).
Gli universitari della Link parlano di un decreto da bocciare: “Non aggiunge risorse al settore pubblico più tagliato negli ultimi sette anni e persevera nella distribuzione delle risorse seguendo criteri premio-punitivi, affossando ancor di più i tanti atenei già in difficoltà, localizzati specialmente al Sud”. Dice il portavoce Alberto Campailla: “La strada intrapresa dal Governo porta alla chiusura di molti atenei, all’impoverimento delle regioni meridionali e alla distruzione del sistema universitario”.
Gli studenti dell’Udu sottolineano: “Il fondo dal 2009 ha perso oltre 800 milioni. Il sistema universitario è già al collasso, bisogna incrementare i finanziamenti e rivedere profondamente i criteri di riparto”. soldi sono sempre gli stessi: poco meno di 7 miliardi. L’università che s’apre alla terza tornata del governo Renzi non aumenta i finanziamenti pubblici, ma neppure accentua il suo profilo premiale, aggettivo gradito al ministro Stefania Giannini. Piuttosto, dal 2017 i “premi” saranno dati anche in base a indicazioni delle stesse università: l’autonomia degli atenei cresce, e questo è un fatto positivo. E’ partito in questi giorni, ecco, il viaggio più importante per il sistema accademico italiano: lo Stato assegnerà i 6,921 miliardi – due milioni in meno dell’anno scorso – alle 85 università italiane statali e no.
Il decreto con i criteri di ripartizione è stato inviato ai quattro istituti contemplati dalla legge e prevede, innanzitutto, che la quota premiale per gli atenei più efficaci, produttivi, impegnati resti al 20 per cento (vale 1,4 miliardi): nel 2009, ricordiamo, il "premio" era il 7 per cento del totale, nel 2012 il 13,9 per cento. La crescita si ferma seconda una bozza che, comunque, non è ancora legge: la novità è che nella prossima stagione gli indicatori per assegnare il premio saranno scelti dalle singole università su un panel offerto dal ministero dell’Istruzione. Ogni ateneo potrà farsi valutare in relazione alla propria strategia di sviluppo: ricerca, didattica, l’internazionalizzazione. Il ministero li misurerà sui risultati acquisiti in ogni ambito strategico e sui miglioramenti ottenuti con cadenza annuale. E’ un tentativo, sostengono al Miur, di non premiare solo e soltanto le grandi università forti sulla ricerca.
Nel decreto sulla Programmazione triennale sono state semplificate le possibilità di reclutamento dei vincitori di programmi europei Erc: potranno essere chiamati dalle università sia come ricercatori che come professori universitari. Ancora, agli atenei viene concessa una maggiore flessibilità nella costruzione dei percorsi di laurea: potranno innovare i loro corsi con margini di libertà, “avvicinarli al mondo del lavoro”.
Aumentano gli stanziamenti per i dottorati e le borse post lauream: da 112,9 milioni a 135, il 60 per cento di queste risorse sarà riservato al lancio dei “dottorati innovativi” previsti dal Piano nazionale della ricerca. Il 10 per cento dei 59 milioni del Fondo giovani dovrà servire a incentivare la mobilità internazionale degli stessi dottorandi. Sono confermati i 5 milioni per il bando Montalcini, destinato al rientro di studiosi dall'estero. Viene rinnovato un cofinanziamento (10 milioni) per chiamate dirette, nuovi ricercatori di tipo B e incentivi alla mobilità dei docenti. Aumenta il peso del costo standard, che quest’anno passa dal 25 al 30 per cento. Restano gli interventi perequativi per non penalizzare alcuni atenei: il decreto prevede che ogni università non perda più del 2,5 per cento della quota assegnata nel 2015 (l’anno scorso, tuttavia, era il 2 per cento).
Gli universitari della Link parlano di un decreto da bocciare: “Non aggiunge risorse al settore pubblico più tagliato negli ultimi sette anni e persevera nella distribuzione delle risorse seguendo criteri premio-punitivi, affossando ancor di più i tanti atenei già in difficoltà, localizzati specialmente al Sud”. Dice il portavoce Alberto Campailla: “La strada intrapresa dal Governo porta alla chiusura di molti atenei, all’impoverimento delle regioni meridionali e alla distruzione del sistema universitario”.
Gli studenti dell’Udu sottolineano: “Il fondo dal 2009 ha perso oltre 800 milioni. Il sistema universitario è già al collasso, bisogna incrementare i finanziamenti e rivedere profondamente i criteri di riparto”.