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PavoneRisorse: Settembre, è tempo di iniziare. Scuola, identità e società glocale

di Aluisi Tosolini

14/09/2009
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PavoneRisorse

Dal 1° settembre mi capita molto spesso di fare lunghi viaggi verso la montagna. Almeno un’ora di sola andata salendo gli Appennini che si incuneano verso il mare tra Emilia, Toscana e Liguria senza tuttavia mai trovarlo.

Tra Haydn e Khaled

Viaggi che permettono lunghe riflessioni, magari con un sottofondo di musica che negli ultimi periodi varia tra l’amato barocco di Joseph Haydn (di cui questo anno ricorre il bi-centenario della morte) e le note di Cheb Khaled (ad esempio Aicha o il suo ultimo album Liberté ). Due strani mondi contrapposti, si dirà. Ma chi sale le strade dell’Appennino, alla ricerca di scuole con pluriclassi sia di scuola primaria che di scuola secondaria, deve essere pronto a superare ogni paradosso, a fare della flessibilità la sua massima virtù e dell’inventiva meticcia il suo bagaglio interiore.

E’ un altro mondo: così mentre in città mi arrabatto con classi di liceo scientifico che veleggiano tra 29 e 30 studenti per classe qui, tra i boschi e l’azzurro stupendo di un panorama che si prepara alla dolcezza dell’autunno, si gioca spesso con numeri che per contarli bastano le dita di una mano sola.

Ma anche per loro vale l’art. 3 della Costituzione.

L’articolo 3 della Costituzione

E mi è piaciuto molto, leggendo l’atto di indirizzo del Ministro Gelmini per le scuole del Primo ciclo (8 settembre 2009), che il testo si concluda proprio con un riferimento specifico all’art. 3 della costituzione. Tra l’altro questa volta citato correttamente e non come nelle indicazioni del Ministro Moratti che scambiò giustizia con uguaglianza costringendo la Gazzetta Ufficiale a pubblicare una Errata Corrige per mero errore materiale…

Certo, se anche per questi bambini di montagna vale l’art. 3 della Costituzione occorrerebbe poi evitare di applicare i criteri che vanno bene per la città o per la pianura a zone montane dove tutto è più complicato. Qui ci sono 13 abitanti per km2 contro i 6862 del Comune di Milano o i 167 medi della Regione Emilia Romagna.

Così, salendo lungo le curve che seguono l’ampio letto del fiume, rifletto sul fatto che davvero alle parole occorrerebbe far seguire la sostanza, il contenuto.

Roscellino, un maestro

Non ho mai amato troppo, nella famossima diatriba medioevale sugli universali, la posizione di quanti sostenevano che ad ogni parola universale (ad esempio bambino,

persona umana, ecc) corrispondesse da qualche parte un contenuto reale. Ho sempre preferito dar ragione a Roscellino di Compiégne (1050 - ca. 1125), monaco filosofo e teologo francese, maestro di Abelardo, che sosteneva che gli universali non esistevano nella realtà ma erano solo segni convenzionali o parole ( voces) o nomi. La loro unica funzione era di muovere l'aria quando venivano pronunciati: essi, secondo la celeberrima tesi di Roscellino, non sono che flatus vocis, ossia “soffi di voce” privi di esistenza autonoma.

Non vorrei cadere nella peccaminosa tentazione del nominalismo più radicale ma a volte ho come l’impressione che esista un radicale scollamento tra le parole e le cose, le indicazioni, le linee guida, i documenti e le pratiche, le azioni, la fattibilità, la concretezza.

Nell’atto di indirizzo del Ministro dell’8 settembre, ma anche ad esempio nelle linee guida del 4 marzo sull’educazione alla Cittadinanza e Costituzione, vi sono pagine e pagine assolutamente bellissime, condivisibili, sagge, piene di buon senso pedagogico e culturale.

Ma poi si scopre che spesso si tratta solo di parole ben coniugate e declamate ma senza piedi e gambe per camminare in maniera autonoma.

E, al riguardo, va precisato che la parola autonomia (delle scuole, ovviamente) è citatissima in tutti questi documenti ma poi, se uno fatica ad aprire le scuole sui monti perché non ha in organico collaboratori scolastici a sufficienza che fa?

Come fa a dar corpo all’art. 3 della costituzione? A mettere il centro della propria azione ogni singolo alunno? A non lasciare indietro nessuno? Certo, cambiare occorre, la scuola così come è stata fino a ieri deve assolutamente cambiare, deve modificarsi, rivedere se stessa, la sua organizzazione, la sua struttura, il suo ruolo e la sua missione nella società globale contemporanea. Ma cambiare come? Con maggiori investimenti (come fa Obama negli Usa) o con meno?

….

Mah… sono solo pensieri tra una curva e l’altra. Che fanno il paio con le polemiche sui precari che non hanno visto confermato l’incarico annuale. Tutto vero e tutto giusto ma in molte situazioni si assiste anche a posti vuoti che non trovano docenti disponibili a ricoprirli.

Inclusione – adios a l’interazione?

Continuo a leggere il documento dell’8 settembre e mi soffermo su un punto che interessa direttamente le questioni inter-multiculturali

Riporto integralmente il punto 1.3. del documento di indirizzo dell’8 settembre.

1.3 La massima attenzione all’inclusione

La scuola è luogo di apprendimento e, insieme, di costruzione dell’identità personale, civile e sociale. Questo significa mettere ciascuno in condizione di raggiungere la piena realizzazione di sé e l’acquisizione della cultura e dei valori necessari per vivere da cittadini responsabili. Nessuno - questo è l’obiettivo - deve rimanere indietro, nessuno deve sentirsi escluso.

In tale ottica si ritengono prioritari:

a ) l’impegno per la persona con disabilità . Un’attenzione particolare va riservata agli alunni con disabilità. La scuola è, infatti, chiamata ad attivare interventi personalizzati, che esigono specifiche competenze professionali, in una logica di interazione con i servizi del territorio. In questo modo la scuola diventa anche risorsa formativa e mezzo di sensibilizzazione delle realtà locali per farvi crescere la cultura dell'inclusione;

b) gli interventi intensivi nei confronti degli stranieri - specie ma non solo verso quelli di recente immigrazione -, la loro accoglienza e il loro equilibrato inserimento a scuola . La presenza di questi alunni nelle scuole del nostro Paese è un dato ormai strutturale e coinvolge in modo rilevante la scuola dell’infanzia e il primo ciclo, sia nelle grandi città sia nei piccoli centri. Soprattutto agli alunni stranieri di recente immigrazione, e cioè con cittadinanza non italiana e non italofoni, occorre assicurare - nel contesto di una dimensione laicamente aperta alle istanze interculturali - un'adeguata conoscenza della nostra lingua e delle nostre regole di convivenza civile, in modo da favorire l’apprendimento e da garantire un inserimento consapevole ed equilibrato nella comunità scolastica e in quella territoriale.

Mi soffermo, visto che siamo dentro la rubrica di educazione interculturale di PavoneRisorse, sul punto b.

E prendo atto che l’indirizzo del Ministro è chiarissimo: rispetto al documento dell’Osservatorio Ministeriale sulla Via Italiana all’educazione interculturale viene privilegiato il solo percorso dell’integrazione trattando il concetto di inclusione come sinonimo di integrazione.

Non condivido, e non per presa di posizione personale ma sulla scorta di Habermas di cui invito a leggere, appunto, L’inclusione dell’altro (Feltrinelli, dal 2008 anche in edizione economica) in cui Habermas non tratta inclusione come sinonimo di “ un'adeguata conoscenza della nostra lingua e delle nostre regole di convivenza civile, in modo da favorire l’apprendimento e da garantire un inserimento consapevole ed equilibrato nella comunità scolastica e in quella territoriale”. Ma, al contrario, intende inclusione come sinonimo di inter-azione, negoziazione, definizione di una nuova e comune cittadinanza frutto dell’incontro tra plurali identità. Un’idea sinfonica di nuova cittadinanza cui fa riferimento anche Sheila Benhabib ( Cittadini globali. Cosmopolitismo e democrazia, Il Mulino 2008).

Insomma, quello che dice l’on Fini, Presidente della Camera dei Deputati: a doveri devono corrispondere diritti.

Certo, anche l’on Bossi avrebbe teoricamente e parzialmente ragione quando sostiene che i diritti, per gli immigrati, valgono a casa loro, dove sono cittadini. Parzialmente, perché esistono diritti universali che prescindono dalla territorialità e/o cittadinanza. Teoricamente perché è vero che gli immigrati non sono cittadini italiani, ma questa affermazione avrebbe certo più probabilità di essere presa sul serio se l’Italia non dipendesse (avesse bisogno) degli immigrati. Si dirà che non è vero: a scanso di equivoci ricordo che in queste settimane stiamo assistendo ad una sanatoria, quella per colf e badanti, messa in piedi da chi ha sostenuto che mai e poi mai si sarebbe fatto ricorso a sanatorie.

Verso dibattiti meticci

Insomma, un gran bel dibattito che coinvolge la società italiana nel suo complesso ma che, nel documento di indirizzo, non viene ripreso.

Peccato, perché la società sta andando comunque da un’altra parte, verso altre composizioni plurali.

E mentre scendo dalle montagne, lasciandomi alle spalle castelli e boschi dove i faggi e le querce iniziano a colorasi delle mille tonalità di rosso, penso alle classi del liceo che mi attendono in città.

Scorro mentalmente gli elenchi delle classi prime dove ci sono molti cognomi non italiani. Sanno l’italiano, spesso hanno i migliori risultati (nei due istituti tecnici commerciali della mia città i 100 e lode alla maturità li prendono soprattutto ragazze moldave, rumene ed ucraine), vivono da anni in Italia quando non ci sono nati. Hanno frequentato il nido, le scuole dell’infanzia, le elementari e le medie con i loro compagni “italiani”.

Sono i nuovi italiani ed i nuovi cittadini glocali che nulla e nessuno riuscirà ad obbligare dentro antiche gabbie identitarie. Sono il futuro che le scuole dovrebbero imparare a seguire, curare, accudire, crescere.

Arrivo in sede. L’ufficio alunni mi ferma per dirmi del ragazzo giapponese che per un anno ospiteremo in prima liceo entro uno scambio “intercultura”. Sorrido quando mi raccontano che il ragazzo è ospitato da una famiglia latino-americana.

E’ il futuro, baby….

E’ il futuro che ci entra in casa. Sapremo coglierlo?

Buon anno scolastico a tutti


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